Di Mirco Draghi
Il 23 agosto si sarebbe dovuta svolgere la 104esima edizione del Giro del Casentino. Questa importante gara ciclistica, tra le più antiche in Italia, aveva finora saltato solo 7 edizioni sempre ed esclusivamente a causa delle guerre (1915-1919 e 1944-1945). Quest’anno, per la prima volta in 110 anni, non si svolgerà per un motivo differente, ovvero per le restrizioni dovute all’ormai ben noto Covid19. E’ curioso notare che, mentre oggi dobbiamo assistere ad un’interruzione, esattamente cento anni fa, nell’edizione di cui andremo a parlare, la corsa invece riprendeva, tra mille difficoltà organizzative, dopo la forzata pausa per la prima guerra: una sorta di legame tra sospensioni e ripartenze che, a distanza di un secolo esatto, ci ricorda che in qualche modo la storia si ripete.
Esattamente 100 anni fa, il Giro del Casentino 1920 vide trionfare il campioncino Attilio Livi un dominatore delle corse locali di quel periodo. Attilio era un aretino verace anche se i suoi dati anagrafici riportano che era nato in Brasile nel 1893. Subito dopo il matrimonio i suoi genitori, Alessandro e Vittoria Livi, erano infatti emigrati in Sudamerica, come tanti altri allora, in cerca di fortuna. Si erano stabiliti a Sorocaba (San Paolo) un grosso centro commerciale-industriale ma da lì erano stati costretti ad un mesto ritorno nel giro di pochi anni, senza aver fatto fortuna e con in più Attilio, il figlio primogenito. Rientrati ad Arezzo, nonostante le precarie condizioni economiche (il padre era facchino avventizio alla stazione) allargarono la famiglia ed in pochi anni i figli divennero ben sette [1].
I fratelli Livi erano tutti piuttosto vivaci e ben conosciuti in città, particolarmente nella zona di Santo Spirito, e divisero i loro interessi tra la politica e lo sport. All’anarchismo aderirono Giuseppe (Beppone), Cafiero e Gregorio dandosi molto “da fare” anche ad Arezzo e fornendo poi il loro contributo alla resistenza aretina, mentre nel ciclismo “…Tra i corridori da ricordare nella prima epoca dell’ Unione Ciclistica Aretina vanno citati: Attilio Livi, suo fratello Libertario […]. [2]
Attilio, leggero, agile e scattante era una giovane promessa, Libertario più giovane e massaccio un gregario. Lo scoppio della prima guerra mondiale e la conseguente sospensione dell’attività ciclistica rubarono ad Attilio, allora poco più che ventenne, gli anni sportivi migliori interrompendone l’ascesa. Nel frattempo per sbarcare il lunario lui si era dedicato alla professione di meccanico ciclista mentre Libertario a quella di massaggiatore.
Nella provincia aretina le corse ripresero in maniera importante solo nel 1920, ed Attilio ebbe in quel momento il suo periodo d’oro, sfogò tutta la voglia e la rabbia repressa negli anni precedenti di forzata inattività e dominò la scena locale vincendo, tra le corse di cui abbiamo dati, Giro del Casentino (1920), Giro della Valtiberina-Palazzo del Pero (1921) e Coppa “Sportivi Loresi” (1921) che diverrà poi la “Coppa Ciuffenna”.
Ad ulteriore dimostrazione della sua classe, che travalicava i confini provinciali, citiamo una sfida a squadre tra Arezzo e Firenze/Valdarno del 1920 dove trascinò letteralmente la squadra aretina al successo aggiudicandosi tutte le specialità.
L’edizione del Giro del Casentino 1920 fu la sesta della serie ma, come detto, anche quella della rinascita, la prima dopo la forzata e lunga l’interruzione tra il 1915 e il 1919 :
“Nonostante le difficoltà del dopoguerra la società (Unione ciclistica aretina ndr) riuscì a riprendere l’organizzazione del Giro del Casentino, suo fiore all’occhiello. Infatti nel 1920 la gara fu vinta da Livi battendo la concorrenza di circa venticinque corridori…” [3]
Un Giro che diverrà uno tra i più longevi in Italia e che nell’albo d’oro vedrà in seguito il nome di Attilio accostato a quelli di Bartali, Coppi, Nencini, Mealli, Casagrande…
Nel periodo a cavallo tra il 1920 e 1921 Attilio era di sicuro il miglior dilettante aretino ma era impensabile un suo approdo al professionismo visto che ormai era prossimo alla soglia dei 30 anni, un limite sportivo quasi invalicabile per l’epoca, e se comunque ci avesse fatto anche solo un pensierino fu il destino a decidere per lui. La sua carriera si interruppe di nuovo, proprio sul più bello e questa volta tragicamente :
“Morto il 28 maggio 1921 per ferita d’arma da fuoco all’addome” [4].
Nel corso di una violenta lite avvenuta a Foiano, venne accidentalmente assassinato dal padre Alessandro, a cui partì un colpo di pistola.
“il 28 maggio del 1921, muore, ucciso dal padre, il bravo corridore ciclista Attilio Livi, una delle più grandi promesse del ciclismo aretino. Arezzo sportiva, e non sportiva, fu profondamente scossa dalla ferale tragica notizia.[…] Le onoranze funebri dell’Atleta furono solenni, alle quali parteciparono numerosissimi gli sportivi e tra essi un nutrito drappello della Petrarca con il labaro sociale.” [5]
Il padre non si riprese più da questo dolore, e già minato nel fisico, ne accusò le conseguenze anche mentali tanto che terminò la propria vita poco dopo nel “carcere-manicomio criminale “ di Aversa (CE).
Anche Il fratello Libertario, scosso dal tragico fatto, lasciò le corse, e di li a poco ebbe a che fare con gli albori dell’Arezzo calcio diventandone il ben voluto primo massaggiatore :
“…all’epoca la società garantiva a malapena i soldi per la trasferta e il pranzo, mentre tutto il resto era a carico dei giocatori, scarpette comprese. Così, capitava spesso che il massaggiatore amaranto Livi, potesse recarsi con la squadra in trasferta grazie alle collette dei giocatori stessi. Un massaggio autofinanziato dagli atleti, al quale ben difficilmente avrebbero però rinunciato.” [6]
Non è un caso che il primo trofeo vinto dall’Arezzo si chiamasse “Coppa Livi”
“…arrivarono per gli aretini anche i primi “allori” : gli aretini infatti si aggiudicarono ad Arezzo la Coppa Livi superando due squadre aretine: il Subbiano (1-0) e la Castiglionese (3-0).”[7]
e che la squadra fosse stata ritratta di fronte all’officina ciclistica:
Nel 1924 al fratello Cafiero, uno degli anarchici di famiglia, nacque un maschietto e , come era in uso allora, gli mise il nome Attilio in omaggio al fratello ciclista deceduto. Anche Attilio “junior” sarà però sfortunato: nascostosi nelle colline intorno ad Arezzo in attesa della ormai imminente liberazione della città dai tedeschi, venne catturato il 14 luglio 1944 diventando una delle 16 vittime della strage di San Severo, forse un tragico destino nel nome…
[1] Attilio (1893), Gregorio (1897), Giuseppe (1899), Cafiero (1901), Libertario (1903), Vanda Gemma (1904), Leone (1911). Cfr ASCA Schedario anagrafico individuale.
[2] P-R. NOFRI Ciclismo e vita.Racconti, Ricordi,Riflessioni . Momenti di Storia e di Sport attraverso i 100 anni dell’Unione Ciclistica Aretina (Fondata nel 1907 ndr) FRUSKA Edizioni, Stia (AR)
[3] P-R. NOFRI Ciclismo e vita.Racconti, Ricordi,Riflessioni . Momenti di Storia e di Sport attraverso i 100 anni dell’Unione Ciclistica Aretina (Fondata nel 1907 ndr) FRUSKA Edizioni, Stia (AR) pp 19 e 25.
[5] Arezzo Sportiva – La Petrarca. Florido Giuseppe Magrini. Poligrafico aretino 1980
[6] Noi abbiamo le gambe alate – Stanganini Luca
[7] Noi abbiamo le gambe alate – Stanganini Luca