Di Luca Grisolini
Ho conosciuto Sandro Brezzi a 14 anni, quando per la prima volta entrai nella Rilliana di Poppi. Ai tempi, cercavo un libro che solo quella biblioteca poteva avere: “Fanteria all’attacco” di Erwin Rommel. Quando entrai nel suo ufficio a chiedere, con enorme timidezza quel titolo, mi squadrò con aria circospetta, prima di dirmi: “Quel libro lo ho fatto comprare io. Saranno 15 anni che nessuno me lo richiede. Dimmi che ci devi fare e te lo do: qui dentro si cresce gente sana, che di coglioni fascisti già a codesta età ne abbiamo abbastanza fuori”.
Questo fu il mio primo incontro con la persona che più di ogni altra mi ha fatto da Virgilio nella mia formazione di storico, dandomi fiducia e rispetto sin da subito.
Ci tenevamo più che da collaboratori: quasi da fratelli.
Ci hanno accomunato non soltanto la formazione alla Cesare Alfieri, gli interessi poliedrici, la mentalità e le incazzature politiche, ma anche il disordine cronico e una velata, quasi compiaciuta, allergia alle regole. Quando eravamo insieme, non “raggruivamo”. Non ricordo nessun appuntamento a cui siamo arrivati insieme puntuali: anche perché, come fermavamo la macchina, inevitabilmente ci accorgevamo di aver perso qualcosa: prima gli occhiali lui, poi il borsello io e così via all’infinito.
Eppure, Sandro nel suo caos si ritrovava: la sua scrivania, piene di libri e di scartoffie di ogni tipo, era un mistero per tutti tranne che per lui stesso. Quel comune ritrovarsi nel proprio casino, o dare la colpa delle eventuali perdite a qualcuno (che sicuramente lo aveva spostato perché “ragazzi, si toccassero il culo tutti”) era un marchio comune che ci faceva simpatia e stima.
Mai ho conosciuto un’altra persona con cui stabilire un’identica comunione intellettuale. E mai ho conosciuto un talento così puro, un’onestá tanto forte e una professionalità così vera. Sandro non era soltanto un bibliotecario, era un custode della memoria a tutto tondo, che come tutti I profeti ha conosciuto più fama e stima fuori che nella proprio patria. Tanti sono I ragazzi che hanno fatto della Rilliana una seconda casa, erigendola a luogo di studio e a simposio culturale, centro di scambio di idee e opinioni. Moltissimi gli studiosi che hanno trovato nel sapere enciclopedico di Sandro un apporto fondamentale ai propri lavori: questo anche perché un’altra dote non comune che lo caratterizzava era l’assenza totale dal proprio vocabolario dei termini “gelosia”, “malizia” e “rivalità”. Intransigente con gli altri per lo meno quanto lo era con se stesso, aveva come apparente difetto un carattere d’impatto burbero e austero: facciata che subito crollava con un minimo di conoscenza e conquistata stima. Difficile spostarlo di una virgola dalle proprie convinzioni, aveva dalla sua il fatto di aver quasi sempre ragione. Eppure, nonostante la differenza di posizioni, mai si sottraeva al dibattito o ne faceva motivo di rottura.
È strano parlare di lui, ora, al passato. Mentre mi ritrovo qui con la mente piena dei progetti che avevamo e di quelle grandi imprese da compiere insieme.
Di cose ne abbiamo fatte, spalleggiandoci ora come il gatto e la volpe, ora scannandoci amichevolmente sulle più svariate questioni.
Quando con noi c’era Cecco Goretti, poi, il trio era al completo. Sembravano “Amici Miei” versione casentinese. E giù a parlare di partigiani, di Juventus, di idee, di politica, e giù moccoli, risate, infamate scherzose: come se quelle tre generazioni completamente diverse nulla contassero nella tessitura di rapporti duraturi e alla pari.
Di tanto in tanto Sandro mi capitava a casa in bicicletta e mentre tutto carico mi raccontava I chilometri macinati, scuotevo il capo e gli dicevo: “te alla fine tu ci rimani a fare dimorti giri a bischero”. E allora, tutto incazzato, di rimando rispondeva “mettiamo 500 euro e il primo che arriva in vetta allo Spino vince. Io a te ti fo il discorso sulla bara”.
Quando invece ci trovavamo ( piuttosto spesso ci seguivamo nelle iniziative a cui partecipavamo da relatori o organizzatori) a scuotere il capo era lui, che iniziava a dire “bada oh c’è il Griso, ma te tu sei dappertutto, sarà possibile che uno ti debba trovare anche qui?”‘
Questo è stato il rapporto che per 14 anni ho avuto con Sandro Brezzi. Un’amicizia vera che si è trasformata in collaborazioni proficue all’insegna della stima e del rispetto. Come quando mi volle come autore di un capitolo del suo libro “Poppi 1944” e difese a spada tratta, arrivando a cambiare editore, la mia presenza sul testo davanti a gente che male avrebbe tollerato la mia presenza su un proprio prodotto. O come quando io lo volli come Vice Presidente Vicario dell’ Anpi Casentino e membro del Comitato Provinciale di Arezzo: sarebbe stato lui, dal 2018, la persona indicata per succedermi alla guida della sezione, che ha proprio sede in un altro luogo che è anche frutto della nostra collaborazione: la Mostra Permanente della Guerra e Resistenza di Moggiona.
Rimane, nel cuore, il vuoto incolmabile di progetti sospesi nelle nostre menti, che tanto tempo ancora avrebbero impegnato (data la pignoleria) per vedere la luce. Un libro a quattro mani. Un viaggio in Normandia. Una nuova mostra. Ma più ancora del futuro ipotetico, rimangono vivi e si rimarcano nella mente, quella gestualità, quell’approcciarsi e quella intelligenza vivace che me lo hanno fatto stimare con devozione nei pregi e nei difetti.