Quel che valeva per Palermo, nelle parole dell’avvocato di Johnny Stecchino, si conferma nella Locride: l’assillo della “Jonica”, la provincia Reggina che s’affaccia sull’omonimo mare, è il traffico!
Se avete in mente il caos della Statale 106, la lingua d’asfalto che separa l’Aspromonte dalle onde, vi state sbagliando: i protagonisti del “traffico” nella Locride sono gli stupefacenti. Il Procuratore di Locri, Luigi d’Alessio, lo sa pur bene: anche quando dispone l’arresto di Domenico (“mimmo”) Lucano, Sindaco di Riace. Dopotutto, anche se le priorità sono altre, qualche sorpasso azzardato, un eccesso di velocità od un divieto di sosta capitano anche nella Locride: non per questo si può far finta di niente. Lo confermano le parole del Procuratore d’Alessio a beneficio del pubblico: “Noi non processiamo il modello Riace, ma gli illeciti che sono stati commessi”.
Il “modello Riace”, lo sanno tutti, è un progetto d’integrazione che ha ripopolato un paesino falcidiato dall’emigrazione. Oggi, un quarto dei cittadini Riacesi, non sono nati in Calabria ma vengono dal mare, come gli omonimi Bronzi: temprati altrove e sprovvisti di passaporto. Il “modello Riace”, e qui l’illustre Procuratore si sbaglia di grosso, è Mimmo Lucano. Non già perché lo sostiene Fortune, che annovera il Sindaco fra i 50 uomini più influenti del mondo ma non Riace fra i borghi più belli, o perché Wenders c’ha girato un film: lo sostiene il buon senso. L’interesse per Riace è quello per cosa ha fatto Mimmo Lucano: quanto quello per la Lega lo determina Salvini, quello per la Fiat lo destava Marchionne ed il Vaticano è interessante per via di Bergoglio. Lo stesso vale e deve valere per l’oscuro Procuratore di Locri: COSA HAI FATTO?
L’illecito letterario di Luigi d’Alessio è l’abuso dell’avversativa, che prelude al crimine morale. Mi spiego meglio. Il reato del Procuratore di Locri non è il cretinismo patologico di chi sanziona l’eccesso di velocità alla Mille Miglia d’Indianapolis: è l’offesa al primato dell’Etica. “Non processiamo il modello Riace” MA “gli illeciti” suona come “non intendiamo affamare gli Italiani” MA “rispettare il fiscal compact” ed altre amenità con le quali si lascia perdere il precetto in nome di qualcos’altro. In soldoni, si riconosce la validità di qualcosa mentre se ne provvede la demolizione. Al più misero scrittore non sfugge che la subordinata avversativa, quella retta dai “ma” e “però”, è il fulcro del discorso: a discapito di cosa sostiene la principale.
In questo caso, la miopia zelante dell’incaricato pubblico, si rende conto “di aver lanciato una bomba in una favola” (NDR: il corsivo sono dichiarazioni del Procuratore d’Alessio): fatto del quale, naturalmente, si professa dispiaciuto. È Chiaro che d’Alessio non è in grado di rendersi conto.
L’idea stessa di relegare la coscienza all’onirico, mentre si opera per il peggio, ricorda gli zelanti aguzzini di Hannah Arendt quanto il comandante dell’Enolay Gay, intervistato da Gunther Anders, che si difendeva sostenendo d’aver fatto il proprio dovere. Urge rimedio. La coscienza, l’intelligenza, il buon daìmon per chi se l’è inventato, non suona come la Vocazione: l’esatto contrario. Se il chiamato sente un indomito impulso ad agire, chi coltivava l’intelligenza (eudaimonia) è invitato a riflettere: a darsi un limite. Ciò a dire, nel recinto di ciò che si può fare, preferire di “non fare” in luogo di seminare la propria vita d’atti dovuti che tali, ad occhi glaucopidi, non sono mai.
Mimmo Lucano, è vero, ha preferito violare la Legge sulla gestione dei profughi e dei rifiuti, in nome di una Vocazione: lo stesso territorio sul quale pretende di fare strada il Procuratore, pro tempore, di Locri. Quando lo spazio che sostiene l’agire passa dall’opportuno all’immaginifico, l’orizzonte s’approssima al pittoresco ed è qui che entro in gioco io.
La favola che ha conquistato il Procuratore di Locri è quella in cui il traffico di stupefacenti non è un affare di Stato: in barba al più banale buon senso, alla storia ed al monopolio di Stato impresso sugli alcolici e sul tabacco. Di converso, inscritto nella favola del Procuratore, è il sevizio da prestare alla Legge, come se questa permettesse l’intercettazione di chiunque per vedere, poi, quale capo d’imputazione sia il caso di formulare. Più d’una favola, uno scenario Orwelliano.
La colpa di Mimmo Lucano, invece, è procedere per altra letteratura: Matteo 4, 18-22. Il Vangelo di Matteo, nel passo citato, ricorda la Vocazione di Andrea (NDR: semplice caso di omonimia con lo scrivente) e Simon-Pietro: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini”. Certo, obietterebbe l’acuto Procuratore, Gesù non si rivolgeva ad un certo Domenico per cui è lecito dubitare che fosse Mimmo Lucano il Vocato: eppure, per lui, è stato così. Il peso di Mimmo Lucano è quello di ognuno ed è tutto qui: inscritto nella favola che si sostiene. Peccato che al Procuratore di Riace, tutto questo, sia sfuggito.
Personalmente non sono un Vocato ed a me va benissimo così: coltivo la mia senilità. Trascorro il meriggio pescando, nell’attesa del vespro: qualcuno, comunque, passa sempre di qui. Ascolto senza obbedire e rispondo di me stesso. L’altro giorno avevo qualcosa da dare ad uno sventurato e l’ho fatto: era un assassino e lo sapeva bene. Io, all’ombra dell’ultimo sole, ho dato un senso alla mia attesa: all’insistenza di stare lì, seduto, sul ciglio del mare. Ho trascorso la vita fra il bene ed il male, fino a quel giorno; quello in cui ho provveduto al bisogno d’un Uomo per quel che era: ripiegandomi nel silenzio, per quelli che lo stavano cacciando.
A volte, la vocazione dell’uomo, è quella d’un cane!