PER SEMPRE

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Come si coglie un attimo?

Ed ancora: quanto misura, quanto vale, quanto pesa? La dimensione ferina d’un attimo è il tempo d’acchiappare una mosca. Muscoli tesi, potenza di calcolo, innata sincronia ed al gatto basta un attimo per garantirsi un pasto frugale: un picosecondo per pochi grammi che garantiscono una breve sopravvivenza. La dimensione ferina d’un attimo è “adesso”. Per “adesso” Matteo Salvini ha fatto incetta di voti, “adesso” stiamo insieme, per “adesso” sono felice, ricco, in salute o qualcos’altro. Adesso.

Duecento anni fa, da oggi, Giacomo Leopardi levava le mani da una griglia d’endecasillabi sciolti. In alto, a sinistra, era rimasta impressa una parola in maiuscolo: “Sempre”.

L’Infinito di Leopardi comincia così e seguita con “interminato”, “sovrumano”, “infinito”, “eterno”, “immensità”. Non fraintendete, Leopardi non aveva niente contro la dimensione ferina e così anch’io. È normale, ed altrettanto irrilevante, che un animale disponga qualche mezzo da spendere ad un qualche scopo: non c’è niente di male. L’atto d’acchiappare una mosca non è né bello né brutto: è inscritto nelle leggi di natura. Una mosca si trova nei pressi d’un gatto, questi ha fame, ed il destino del volatile si consuma nel fulmine: inteso come tempo, piuttosto che chiarore. Fuori dall’ordinario, invece, è il tirar fuori L’infinito dal riparo d’una siepe e trovarlo bello, bellissimo: scoprirlo sovrumano!

L’Infinito è un attimo caduto nella rete di Giacomo Leopardi: deciso a trattenere a sé una qualche bellezza piuttosto d’un trauma. La vita non lesina traumi a nessuno, nemmeno ad un gatto, ma dietro alL’Infinito c’è qualcos’altro: qualcosa d’imprevedibile. Lasciatemi spiegare. Prendete un gatto, fategli ronzare una mosca a tiro e chiedetevi cosa farà. Qualunque sia la vostra potenza di calcolo, non credo abbiate bisogno del computer per realizzare l’istante successivo. Prendete un uomo, al meriggio, sotto una siepe: che ne sarà? Nove su dieci s’addormentano, e così anch’io, ma uno, ed uno solo, ha scritto L’Infinito: ve lo sareste aspettato?

Sì!

Ecco, il punto è questo: che poteva sbucare L’Infinito da una siepe, trattandosi d’un essere umano, ci può stare. Che un uomo possa cogliere una qualche bellezza in luogo di alcune mosche, è quasi ovvio. Di più. Foss’anche con la sola memoria o nel gesto d’un graffito, è tutto umano il prodigarsi a trattenere l’attimo: “Verweile doch! Du bist so schön!” (Resta ancora un po’! Sei così bello!). In fondo ai vostri cuori, anche se difettate dei mezzi per esprimerlo, sapete benissimo la differenza che passa fra un gatto ed un essere umano: non è il pollice opponibile! Il gatto si risolve sempre in qualcosa di prevedibile, né bello né brutto, semplicemente scontato: un gatto è sempre un gatto qualunque. Un essere umano, invece, non è assistito da nessun istinto, men che meno dalle pulsioni: lasciato sull’erba, si definisce come meglio crede. Giacomo Leopardi, assistito da mezzi straordinari, ha deciso d’esistere in eterno: ha stabilito, per sé, il sovrumano. Già a ventun’anni, complice la malattia, aveva capito la propria caducità e l’occasione che, questa vita, concede a tutti: scrivere di pugno la propria storia. Significarla con l’inchiostro ed affidare il tutto ai flutti ed al vento. Un messaggio nella bottiglia, un aquilone lasciato al cielo, per raggiungere qualcuno, remoto nello spazio e nel tempo, capace di bellezza. Giacomo Leopardi ha deciso di risolversi nell’infinito…

per sempre.

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