Per essere veramente in pace con noi stessi, non bisognerebbe mai fermarsi in questa vita. Dovremmo alzarci una mattina, una qualunque, come tante, aprire la finestra di camera nostra, affacciarci ed assaporare l’aria che arriva da fuori, con la mente libera, senza pensare ai problemi quotidiani.
Così facendo, a che conclusione arriveremmo?
Probabilmente, se davvero fosse possibile rimuovere dal proprio cervello tutte le fissazioni, le fobie, le beghe, gli impegni e quant’altro, la prima cosa che faremmo è vestirci e partire, senza una meta precisa, ma con l’obiettivo di conoscere, e conoscerci. Ci sono poche persone che, non interessate a condurre una vita “normale”, riescono ad evadere dalla soffocante prigione della forma e, per colpa (anche se una colpa non sarebbe) del loro particolare modus vivendi, vengono evitate, schernite, definite “matte”.
Ma solo chi è detto come “folle” può vedere il mondo con gli occhi del cuore, e la pazzia è un concetto relativo, perché nessuno ci ha mai prescritto come bisogna essere o che cosa bisogna fare, e neppure ci ha informati su quello che è giusto e sbagliato: noi abbiamo creato i pregiudizi, le istituzioni; la morale, i luoghi comuni, i precetti, sono interni alla nostra razionalità, non poggiano al di sopra di noi come il cielo e l’universo.
Pietro,
non è facile descriverti, perché, per quanto tutti noi, dai più giovani ai più anziani, ti abbiamo visto tantissime volte, in Casentino, ma anche ad Arezzo o Firenze, nessuno di noi ti ha mai conosciuto veramente. La tua storia è intrisa di misteri, a partire dall’incidente che, durante il servizio di leva, ti ha cambiato la personalità, e ti ha fatto, secondo i più ingenui, uscire di senno. Perché non è così: benché dal tuo ritorno dall’esperienza militare, tu fossi divenuto, ormai per decine e decine d’anni, un originale personaggio che era solito aggirarsi per le nostre strade, o sedere sui nostri treni, non risultava difficile notare la tua straordinaria intelligenza e cultura.
Il tuo modo di essere insolito ti metteva in una posizione intermedia tra il comico e il drammatico: recitavi stornelli e canzoni popolari rarissime, dai toni scherzosi e all’apparenza poco importanti, ma se ti ascoltavamo con attenzione, in queste vi erano celati dei significati estremamente profondi, e talvolta molto amari.
Inoltre era straordinario il fatto che tu conoscessi pressoché tutte le famiglie di noi casentinesi: chiunque ti si fosse presentato dinanzi, tu ne avresti scoperto l’identità, con tanto di soprannome “storico” e luogo di residenza. Oltre a ciò, spesso sorprendevi i tuoi interlocutori citando poeti più o meno famosi, compresi quelli del mondo greco e latino… anche tu eri un poeta itinerante.
Itinerante per due motivi: dapprima, perché non ti fermavi mai (impossibile ipotizzare quanti chilometri abbiano percorso le tue gambe), e soprattutto perché sapevi camminare con la mente, come soltanto coloro che riescono ad evadere dalle convenzioni sanno fare.
Proprio in una delle tue escursioni il destino ti ha voltato le spalle e, mentre la pioggia incessante cadeva sugli alberi e sulla strada, hai compreso che questo tuo viaggio sarebbe stato l’ultimo, e ci hai lasciati tremendamente soli… proprio tu, che eri da solo ogni volta che ti incontravamo, ma che in realtà avevi tanti amici, che, in un’ottica superficiale, si ricorderanno di te perché sapevi far sorridere chiunque anche nei giorni più tediosi, e che poi, varcando le soglie della banalità, non ti scorderanno per la tua ironica, originale ed aggiungerei anche geniale visione del mondo.
Tuttavia non preoccuparti, Pietro.
Non lascerai mai il Casentino, la memoria di te resterà sempre intatta: perché le persone “normali” piano piano vengono dimenticate, mentre chi ha saputo uscire dagli schemi, vive per sempre.
Un abbraccio, Alberto Marioni