Dopo gli eventi alluvionali dei mesi scorsi, siamo tornati sul “luogo del delitto” per valutare la situazione adesso che le acque si sono ritirate e il bel tempo ha asciugato il percorso. Abbiamo visitato due tratti: quello che va da Stia a Castel San Niccolò e quello che va da Ponte a Poppi a Bibbiena. In tutta onestà, dobbiamo dire che la situazione non è così drammatica come ci saremmo aspettati di trovare dopo gli eventi piovosi eccezionali che ci sono stati. Ma va anche detto che, per ripristinare il percorso in un buono stato, dovranno essere fatti degli interventi di una certa importanza. Cominciamo col dire che il tratto che ha subito meno danni è quello che va da Stia a Castel San Niccolò ed è, infatti, aperto e percorribile. In quel tratto si registrano solo alcuni punti in cui la forza del fiume ha eroso parti di sponda. Questi punti sono stati transennati, messi in sicurezza e la pista è percorribile. Diverso è il caso del tratto che va da Ponte a Poppi a Bibbiena. Questo tratto è ancora chiuso e la zona nei pressi di Buiano, poco prima della rotonda di Casamicciola, ha subito i danni peggiori: il fondo ha tenuto abbastanza bene e sarebbe anche percorribile, ma l’acciottolato di superficie è completamente venuto via e alle prime piogge sarà il fango a farla da padrone. Quel tratto, dove l’Arno è vicinissimo alla pista e dove storicamente si sono sempre registrate esondazioni, è il punto più critico in cui l’Unione dei Comuni dovrà valutare che tipo di intervento fare. Non è nostra intenzione fare polemica a tutti i costi, ma crediamo che l’ente capofila del progetto debba seriamente prendere in considerazione degli interventi speciali per non ritrovarsi, tutte le volte che si verificherà un evento piovoso eccezionale, a dover spendere ulteriori denari dei contribuenti. Per questo motivo, per non essere solo polemici, ma anche propositivi, abbiamo interpellato un esperto: il dott. Luca Miani, geologo casentinese che conosce bene il territorio. A lui abbiamo chiesto un parere tecnico sull’argomento. Ecco cosa ci ha esaurientemente risposto.
«Il fiume è il padrone assoluto del fondovalle, è lui che ha costruito la pianura, è lui che con le sue piene se la riprende come e quando vuole. L’energia in gioco è enorme: anche l’Arno, che in Casentino è poco più di un grande torrente, riesce a trascinare ciottoli di dimensioni considerevoli e ad erodere con facilità lunghi tratti di sponda.
Quando andiamo a realizzare un’opera come la ciclabile, si deve per forza fare i conti con questa realtà: il fiume è padrone, e noi dobbiamo cercare di gestirlo ed assecondarlo nei suoi comportamenti, ignorarlo o contrastarlo è senz’altro una gara persa.
In seguito agli eventi di piena dello scorso autunno si sono verificati sostanzialmente due tipi di problemi: l’esondazione del corso d’acqua al di fuori del normale alveo e l’erosione di sponda.
Per affrontare il problema dell’esondazione a mio giudizio gli approcci possibili al problema sono due: uno che potremmo chiamare “Naturalistico” ed uno “Ingegneristico” (l’utilizzo che faccio di questi termini è assolutamente criticabile, mi rendo conto, chiedo anticipatamente scusa).
L’approccio “Naturalistico” consiste semplicemente nel lasciare che il fiume faccia ciò che vuole durante l’onda di piena, e ricostruire le parti danneggiate una volta che questa è passata. In pratica si tratta di dover gestire nel tempo numerosi eventi di ripristino del percorso con la consapevolezza che le opere realizzate saranno comunque sempre effimere.
Con l’approccio “Ingegneristico” si cerca di capire la dinamica delle forze in gioco con adeguati modelli al fine di realizzare opere che abbiano una elevata probabilità di sopravvivenza in seguito ad eventi critici.
E’ evidente che il fiume va considerato come un corpo unico dalla sorgente alla foce, quindi qualsiasi intervento locale deve essere integrato in una visione del funzionamento del sistema fiume nella sua globalità.
Per ovviare al problema delle esondazioni la soluzione più efficace e percorribile è stata da tempo individuata nella realizzazione di varie “casse di espansione” lungo il corso del fiume; si tratta in pratica di un sistema di vasche destinate a recepire l’acqua in eccesso durante l’onda di piena per poi restituirla al fiume nei tempi immediatamente successivi.
L’afflusso e il deflusso delle acque in queste casse non deve essere casuale, ma regolato dalla realizzazione di adeguate opere di ingegneria opportunamente dimensionate quali bocche di afflusso, argini e bocche di deflusso.
Con questo tipo di approccio credo che sarebbe senz’altro possibile realizzare la ciclabile al colmo di un argine, e si tratterebbe senz’altro di un’opera con maggiori garanzie di durata nel tempo rispetto ad un percorso lasciato in balia delle esondazioni.
Non sono in grado di fare un’analisi costi-benefici comparata dei due approcci, ma è ragionevole supporre che l’approccio “Naturalistico” comporti una bassa spesa iniziale ma un’elevata spesa di manutenzione, mentre l’approccio “Ingegneristico” può comportare un’alta spesa iniziale ma costi di manutenzione più bassi.
Inoltre l’impegno di studio e progettazione preliminare è senz’altro superiore in un approccio “Ingegneristico” piuttosto che in uno “Naturalistico”.
Diverso è il discorso relativamente all’erosione di sponda: contrariamente a quanto si può pensare, l’azione erosiva di sponda del fiume non è massima nella fase del colmo di piena, ma nei momenti immediatamente successivi. Questo è dovuto al fatto che con il diminuire della piena il fiume tende a depositare ciottoli al centro con la formazione delle cosiddette “isole”; la corrente quindi si concentra lungo le sponde riacquistando virulenza ed esercitando al massimo l’attività erosiva.
I fenomeni erosivi hanno carattere locale e difficilmente sono prevedibili a priori, in quanto il sistema fluviale è molto complesso e quindi praticamente impossibile da definire nei dettagli: se le pendenze sono basse, il fiume tende ad avere un andamento curvilineo, e le sue “anse” variano di continuo nel tempo.
Se si effettuano interventi di ripristino dell’erosione in un particolare punto del suo corso, è molto probabile che questa alterazione inneschi erosione in un altro punto più a valle.
Esiste comunque la possibilità di studi qualitativi per individuare le aree più soggette ad erosione di sponda, per poter pianificare adeguati interventi di “Ingegneria naturalistica”, campo in cui l’Unione dei Comuni (ex Comunità Montana) ha esperienza ormai trentennale.»