Conosco bene Sandro Bianchi, casentinese importato ormai da più di trent’anni, con sua moglie Paola siamo cresciute insieme e siamo ancora molto amiche, a dir la verità non ci siamo mai perse di vista. Anche oggi che ognuna di noi ha la propria famiglia, siamo comunque sempre in contatto, soprattutto per condividere quei “fardelli” che talvolta la vita presenta, perché ci sono degli sfoghi che condividi più volentieri con un amico piuttosto che con un familiare.
Ed è proprio un “fardello” pesante e pauroso che la famiglia Bianchi di Bibbiena si trascina dietro da qualche mese. Purtroppo a Sandro è stato diagnosticato quel male che fa paura anche citarne il nome, col quale però ha dovuto convivere durante la già di per sé, problematica quarantena.
-Quando è iniziato il periodo del LockDown, non mi rendevo bene conto a che cosa potessi andare incontro. – Racconta Sandro –
– Mi sono accorto di quanto potesse essere grave per me la possibilità di beccarmi il virus, perché mia moglie e le mie due figlie mi avevano preparato una sorta di questionario in cui erano scritte le cose possibili da fare e quelle assolutamente proibite.
Certamente è stata dura essendo un paziente oncologico, ma insieme con la mia famiglia ci siamo ben organizzati ponendo anche dei distanziamenti ragionevoli, tipo: aggiungere un tavolo per non pranzare necessariamente gomito a gomito.
Ho passato il tempo della quarantena con la mia famiglia, visto che durante tutti i giorni proibiti era tutta quanta a casa, per cui con le mie tre donne il da fare, e soprattutto il da dire, non mi è certamente mancato. Ho colto il lato positivo del godermi la mia famiglia e di fare insieme quei lavoretti che non trovi mai il tempo di fare durante l’anno. Li abbiamo fatti insieme, con i sorrisi e le discussioni del caso, insieme abbiamo anche messo su un orticello che mi sta dando delle grandi soddisfazioni.
Non mi sono fatto mancare le mie passeggiate nei pressi di casa, che mi sono state date come terapia per smaltire più facilmente tutti i medicinali utili alla sconfitta del mio mostro.
Camminare da solo mi è servito a valutare che tutto sommato sono un uomo fortunato, me lo ripetevo soprattutto quando una delle mie due figlie mi accompagnava nella passeggiata. Insomma è stato bello averle a un metro da me.
Durante quei giorni ho cercato di non farmi prendere dai brutti pensieri, anzi, sono forte del fatto che se mi è stata data l’opportunità di operarmi, è già tanto al confronto di chi non ha potuto farlo, per cui voglio essere positivo.
Ho immagazzinato dentro di me tutte le cose belle, le risate degli esperimenti culinari, dato che sul fornello c’era sempre qualcosa che stava cuocendo, per non parlare del forno che non aveva mai lavorato tanto. A dir la verità non ho avuto neanche troppo tempo per avere paura, riflettevo sulle molteplici attenzioni dei miei familiari, ma sostanzialmente non ho avuto paura.
Comprendevo bene però tutte le precauzioni che mi facevano prendere andando a Siena per i controlli tutte le settimane, sia per recarmici, sia per quando arrivavo sul posto. Capisco che quelli sono luoghi dove qualsiasi cosa può “svolazzare”, e quasi sempre, chi vi ci si reca, non ha troppa salute da vendere.
Anche in quei giorni in cui il mondo mi appariva più fermo guardando fuori dalla finestra, ed i rumori erano più lievi e la gente più calma, io non mi sono mai potuto fermare. Siena era lì, e mi aspettava ogni settimana, paziente come una madre che si prende cura di un figlio, e forse era proprio così.
Anche per l’ospedale le regole erano cambiate, gli accompagnatori dovevano restare fuori e noi pazienti ci sentivamo un tantino destabilizzati, ma poi a tutto si fa l’abitudine. Impari a muoverti, a districarti in quel garbuglio di corridoi dove tutto è uguale e dove perdersi diventa facilissimo.
Comunque le cure sono andate avanti, non solo per me certo, ma per tutte le persone che purtroppo ne hanno avuto bisogno. Siamo stati seguiti con ancor maggiore attenzione perché oltre al male che stavamo curando, c’era il rischio del Covid 19, che sicuramente per noi sarebbe stato ancor più pericoloso.
Comunque è andata, vuoi per le attenzioni del caso, vuoi per quel destino che avrà deciso di essersi accanito abbastanza, e almeno col Covid 19 mi ha risparmiato, anzi, a dir la verità, non mi ha neanche preso in considerazione fortunatamente, per cui eccomi qua!
Colgo l’occasione di questo articolo per ringraziare mia moglie e le mie due figlie, che non mi hanno mollato un attimo, e a quanto sembra, non hanno assolutamente intenzione di farlo, e comunque, detto tra noi, andare a Siena mi ha permesso di uscire di casa, e come si suol dire: non tutto il male viene per nuocere. –
Invece io voglio concludere dicendo che la famiglia di Sandro Bianchi è stata davvero GRANDE in questa specifica situazione, hanno fatto quadrato intorno al loro capo famiglia aiutandolo con intelligenza e infinito affetto in questo percorso doloroso, e io voglio salutarle tutte e tre per nome le ragazze di Sandro e ringraziarle per avergli dato una mano anche per questa intervista.
Un abbraccio a Paola, Deborah e Jessica che ammiro molto…