Comunista della prima ora, durante il Ventennio le aveva prese più volte perché le sue esternazioni andavano oltre il livello di tolleranza del regime.
Dopo l’8 settembre 1943, chissà per quale assurdo percorso esistenziale, si ritrovó dalla parte decisamente opposta e con una camicia del tutto nuova: nera.
Non é né il primo né l’ultimo, e non varrebbe nemmeno la pena parlarne se non fosse che Giroletta é quell’uomo che viene ricordato per essersi vantato, nella piazza di Soci, “che a Vallucciole i bambini si sbattevano nei muri per risparmiare i proiettili”
Il parroco di Lierna racconta che il prezzo di cotanta vanesia pubblica fu la condanna ad essere sepolto vivo di lí a poco.
Non andò proprio così, fatto sta che Giroletta é l’unico ad averci rimesso la pelle dopo aver ammesso la propria partecipazione, reale o ostentata, nel massacro di 109 persone del 13 aprile 1944.
Tra questi c’era Viviano Gambineri, la vittima più giovane. Tre mesi.
Giroletta non doveva essere propriamente un fascista e lo dimostra il fatto che i tedeschi si fidassero di lui, a un tal punto da affidargli addirittura la tesoreria di un qualche servizio interno.
Quando alla fine di giugno le cose iniziarono a mettersi male, Giroletta pensó di fare il salto della quaglia.
Prima di scappare prese con se la cassa dei tedeschi, riflettendo forse che quei marchi tanto faticosamente sudati dai ragazzi della Wehrmacht potevano pur fargli comodo.
Poi si presentó al comando dei bibbienesi, dove giustappunto sapeva esserci un suo cugino, da quelle parti, che faceva il partigiano.
Quando i ribelli se lo videro arrivare con al seguito tutta la famiglia, all’inizio non capirono bene, e probabilmente nemmeno lui ebbe troppo tempo per capire, quando gli spiegarono candidamente che da quella sparata fatta nella piazza di Soci, qualsiasi banda della zona lo avesse catturato aveva l’ordine, immantinente, di fucilarlo.
Dopo un sommario processo che deve avere avuto piú un carattere di comunicazione di servizio, gli spararono un rivoltellata in testa nei boschi di Ortignano Raggiolo, mentre la famiglia fu lasciata libera di andarsene, incolume e insieme al contenuto economico rubato dal capobranco ai tedeschi.
Questa storia insegna che il problema primario non sono le ideologie e la politica, che spesso e volentieri si trasformano in un carro occasionale su cui buttarsi per perseguire interessi e risultati del tutto privati.
Il problema é quando l’ideologia e la sua applicazione politica in uno stato di dittatura diventano autorizzazione e concessione privatistica di ogni perversione individuale, garantendo ai responsabili un’immunitá tale da vantarsi di un infanticidio in una pubblica piazza
E senza neppure immaginare che un giorno o l’altro si debbano pagare le conseguenze anche soltanto delle proprie parole.
(Luca Grisolini, tratto dai ricordi delle testimonianze di una storia vera)