“Less is more” è il suo motto. Meno è meglio, quindi, soprattutto in cucina e di sicuro se l’obiettivo è quello di imprimere, nella mente della gente, il vero “sapore” del Casentino. Questa è un po’ la logica che ha spinto un giovane cuoco talentuoso della nostra vallata a immergersi in una delle esperienze più seguite e ambite del panorama culinario italiano: Emergente chef di Luigi Cremona e Lorenza Vitali, tenutosi, quest’anno, all’interno dell’evento Vinoforum, dal 10 al 19 settembre, presso il Parco di Tor di Quinto a Roma.
Per la manifestazione, che raccoglie le future promesse della cucina italiana facendole gareggiare tra loro a suon di fornelli, è stato, dunque, selezionato anche Alexandru Nicolae Iuga (Alex per gli amici), executive sous chef del ristorante Mater di Moggiona (Poppi), che ha ricevuto la menzione della giuria presentando agli ospiti, come primo piatto, dei mezzi occhi di lupo con parmigiano e genziana, mentre, come secondo, il secreto (squisito taglio di carne) di mora romagnola con tarassaco e cipolla.
Del locale in cui lavora attualmente, il Mater, splendido ristorante incastonato all’interno del Parco nazionale delle foreste casentinesi, abbiamo parlato nel numero primaverile della rivista Casentino Più intervistando Marta Bidi. Ora, conosciamo meglio anche lui:
Partiamo subito dai piatti con i quali hai partecipato all’evento. Cosa esprimono realmente per te?
«I due piatti che ho presentato con l’aiuto del mio secondo della serata, nonché pastry chef del Mater, André Rubino, erano dei mezzi occhi di lupo al parmigiano aromatizzato alla genziana e il secreto con tarassaco e cipolla. Il primo, all’apparenza, è essenziale, austero alla vista, ma con l’eleganza del piatto semplice, se fatto bene. Consiste in una separazione del parmigiano attraverso tre fasi che non fanno alterare le proprietà organolettiche del prodotto. Ottenendo così: inizialmente una parte liquida con la quale cuocere la pasta (i mezzi occhi di lupo, in questo caso), una parte grassa con la quale mantecarla e una proteica da spolverizzare sul piatto ultimato per completarlo. La genziana, aggiunta in infusione nel parmigiano, è invece la postilla che ha dato territorialità al tutto, essendo una radice che cresce nell’Appennino alla nostra altezza. Per aggiungere un tocco in più, a fine cottura, abbiamo anche affumicato leggermente la pasta sulla griglia.
Il secreto di mora romagnola, invece, è un taglio di carne molto pregiato. In lavorazione deve essere privato del grasso che, a sua volta, viene cucinato confit sempre sulla stessa brace. Anche in questo piatto abbiamo voluto portare un po’ di Casentino e di Mater preparando un pesto alla brace di erbe officinali e spontanee che si trovano intorno al nostro ristorante. A concludere l’operazione, una cipolla fermentata che conservavamo in dispensa da quest’inverno, il tutto accompagnato dalla pianta spontanea per antonomasia: il tarassaco, diventato salsa verde. Il nostro proposito era quello di dimostrare che si può cuocere e cucinare anche senza gas o elettricità, usando solo il calore della brace e i profumi che ti dà la legna. Non ho voluto esagerare con la lavorazione delle materie prime perché, si sa: less is more, soprattutto quando lavori con prodotti di pregio. Tutto questo ha avuto un feedback positivo da chi ha assaggiato i piatti e di questo sono molto contento.»
Che impressione hai avuto di Emergente chef? Si trattava del tuo primo evento importante? Raccontaci le tue impressioni, un momento particolare…
«È stata una bellissima esperienza, arricchita dal fatto che è stato il mio primo concorso di un certo livello. Ammetto che mi ha insegnato molto e, soprattutto, mi ha fatto ragionare su quello che c’è fuori dalla cucina del Mater. Di certo, la parte più divertente è stata durante le tre ore che ci hanno concesso per la preparazione dei piatti. Il mio taglio di carne era lì, pronto per essere cucinato. Per evitare dispersioni di fumo, si è scelto di usare, per la nostra griglia, il carbone binchotan che, grazie alla sua alta densità, frena la formazione delle esalazioni da cottura. L’espediente, però, non è bastato. Le piccole parti di grasso che erano rimaste ancora sulla carne hanno, in poco tempo, affumicato tutto il salone e i concorrenti della prima batteria che stavano presentando i piatti proprio in quel momento. Una bella fumata, non c’è che dire, ma ne è valsa davvero la pena; la carne si è cotta alla perfezione.»
Sei riuscito a scambiare qualche impressione con Luigi Cremona o Lorenza Vitali? Che sensazioni hai avuto?
«Ho avuto modo di parlare con Luigi Cremona che, dopo la presentazione dei lavori della mia batteria, si è congratulato con me per i miei piatti. È stata un’occasione per parlare anche del Mater che aveva visitato ben due volte nello scorso anno e della cucina dello chef patron del locale, Filippo Baroni. È sempre un grande onore avere consigli da una persona che ha formato tanti cuochi stellati e non. Anche con Lorenza Vitali sono riuscito a scambiare alcune battute alla fine della competizione. Il suo apprezzamento è andato al secreto e al pesto di erbe “ruffiano” (come lo ha definito lei) che ho proposto. Alla fine, ci siamo lasciati con un abbraccio e con la promessa che presto sarebbe tornata in Casentino insieme a Luigi.»
Tra i personaggi di spicco che hanno partecipato, come ospiti e nella giuria, vi erano anche chef di alto livello (uno tra i tanti, sicuramente Gianfranco Pascucci del Porticciolo). Con loro come è andata?
«Purtroppo, il tempo riservatoci per cucinare era stretto e non sono riuscito a parlare con nessuno in particolare, ad eccezione dei componenti della mia giuria. Con loro ho avuto un riscontro molto positivo sul mio lavoro. Ciò che mi ha reso orgoglioso è stato il messaggio che è arrivato: volevamo far conoscere il Casentino, farlo sentire, farlo emergere dalla nostra creatività, e ci siamo riusciti!»
Come ti sei trovato con la batteria con la quale hai gareggiato?
«Stranamente a mio agio. Mi sono trovato a concorrere con ragazzi di cucine stellate e non, che comunque sono un’autorità nei loro territori. Erano, insieme a me, Giuseppe Amato del ristorante Caino di Montemerano (due stelle Michelin), Roberto di Crescenzio di Andreina, Loreto (una stella), con il quale ho avuto anche modo di dialogare, Nicola Gargani del Giglio di Lucca (una stella) e Matteo Morbini di Olio su tavola (sempre a Lucca) che ha vinto la batteria e con cui mi complimento ancora. L’incontro con quest’ultimo, avvenuto nel backstage, è stato particolare. Ci siamo scambiati molti punti di vista e, oltre alla promessa di visitarci l’un l’altro nei ristoranti in cui lavoriamo, sono riuscito a tornare a casa con una pianta di Oxalis acetosella che lui stesso mi ha regalato.»
Parliamo della tua cucina. C’è uno chef che ti ispira più degli altri?
«Da quando sono andato a mangiare da lui, ho sempre guardato Mauro Uliassi con molta ammirazione; un fuoriclasse della cucina. Era l’anno prima che ricevesse la terza stella Michelin e già si sentiva che, le due stelle che aveva, gli stavano strette. Poi, ovviamente, anche se può sembrare che sia di parte, uno dei miei mentori è Filippo Baroni, il mio chef. Infine, ho grande stima della cucina di Riccardo Camanini (anche lui tre stelle Michelin). È un cuoco che mi stupisce sempre per l’abbinamento degli ingredienti e la storia che riesce a imprimervi dentro.»
Che cuoco vorresti essere? Nei tuoi piatti, nel tuo modo personale di lavorare… Quale potrebbe essere il tuo “tocco” in più, quella cosa che ti colpisce e che sarà sempre presente in ciò che cucinerai? Anche in riferimento al Mater, locale di alto profilo, in cui stai crescendo.
«È ancora presto per decidere che cuoco voglio essere. Per ora so che sarò un cuoco che studia, che si guarda intorno, che ama sporcarsi le mani di terra e di carbone e il Mater mi sta indirizzando su questo. Da cinque anni, ormai, sono “rinchiuso” nel cuore delle foreste casentinesi e ho imparato ad amare questa terra, rispettandola e relazionandomi con essa. Ho scoperto tanti piccoli prodotti e realtà che valgono la pena di essere promossi. Non sono nato in Italia, ma, qui a Moggiona, mi sento a casa. Come se fossi stato adottato da queste terre, da questa foresta. Non ringrazierò mai abbastanza Filippo per la fiducia che mi ha dato nonostante la mia poca esperienza iniziale in cucina e per gli insegnamenti, a volte anche duri, che mi ha impartito. Lezioni fondamentali per la mia crescita professionale. Il “tocco” che darò ai miei piatti sarà l’eleganza della semplicità, usando quello che si ha a disposizione nella propria dispensa o che si trova al mercato, senza fare compromessi sul gusto. Concludo con l’augurio che il Casentino possa essere conosciuto per quello che veramente è: un posto di tradizioni, spiritualità e bellezza nascosto agli occhi indiscreti del mondo. Siamo tanto isolati quanto fortunati di vivere in questa vallata.»