Pratovecchio, dicembre 2022 – Le Foreste Casentinesi, una macchia variopinta sulla tavolozza di un pittore, gremita di colori brillanti tra i quali spicca il verde intenso degli abeti immerso nel profondo azzurro del cielo.
Così, in una assolata mattina di dicembre ci è apparso l’Eremo, arriviamo dal sentiero della Giogana e le celle e le torri campanarie della chiesa dedicata a San Salvatore Trasfigurato formano un tutt’uno con l’immensa natura che le circonda.
Quest’anno lo spettacolo del foliage ha tardato la sua comparsa, purtroppo l’effetto dei cambiamenti climatici si fa sentire anche in questo luogo, dove San Romualdo mille anni fa ha fondato l’ordine camaldolese, che non è stato risparmiato dall’aumento termico a cui è associata la crescente instabilità climatica caratterizzata da tempeste, trombe d’aria e altri fenomeni meteorici estremi. Un esempio su tutti è il caldo anomalo di questo strano autunno, colpo di coda di un’estate torrida con siccità estrema. Per far fronte a questa situazione, oltre a ridurre le emissioni di gas serra, occorrerà mitigare gli effetti che sulla natura hanno i cambiamenti climatici adattandoci ad essi ma soprattutto sarà necessario operare con l’obiettivo di aumentare la resilienza degli ecosistemi provvedendo anche a ripristinare quelli danneggiati.
In questa ottica, nell’ambito del programma di finanziamento previsto per il 2019, il Ministero dell’Ambiente della Tutela del Territorio e del Mare (oggi Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica) ha finanziato ai parchi nazionali interventi di efficientamento energetico, mobilità sostenibile, mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. Il Reparto Carabinieri Biodiversità di Pratovecchio che gestisce le riserve naturali dello Stato, cuore del parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, ha presentato un progetto di restauro della corona di abeti dell’Eremo intervento che, a seguito del rilascio delle autorizzazioni degli enti competenti, è in corso di attuazione.
Gli escursionisti e i turisti che frequentano l’Eremo o hanno potuto apprezzare, durante uno dei loro viaggi, la magnificenza architettonica, spirituale e paesaggistica di questo luogo hanno certamente percepito che gli abeti che circondano il complesso architettonico sono essi stessi monumento, sono “una parte del tutto”.
La corona di abeti bianchi è nata con l’Eremo e, fin dai primi secoli, ha svolto due funzioni: una fisica e pratica in quanto doveva costituire una naturale barriera frangivento per proteggere l’Eremo dai venti freddi settentrionali e dalle intemperie e una spirituale e simbolica visto che lo doveva salvaguardare dalla diffusa corruzione del mondo esterno preservando la sacralità del luogo scelto dal Padre fondatore (San Romualdo).
Tecnicamente si tratta di una formazione forestale di origine artificiale che si sviluppa per 180° intorno al complesso monastico e che si estende dal muro di cinta dell’Eremo per circa trenta metri di profondità.
Gli abeti della corona, che oggi possiamo ammirare nella loro grandezza e magnificenza, sono stati messi a dimora nella prima metà del 1800 dopo il taglio raso effettuato in epoca napoleonica ed hanno circa 180 anni d’età.
Ma non è l’età a destare preoccupazioni, poiché una pianta di Abete bianco in condizioni ottimali di vegetazione può vivere anche fino a seicento anni, bensì lo stato fitosanitario di questa formazione: esiste infatti un problema diffuso legato al marciume radicale dal quale dipende lo stato di deperimento, spesso non visibile ad occhio nudo, che determina sradicamenti o stroncamenti soprattutto quando si combinano precipitazioni nevose, accumuli di neve e forti venti. Nel popolamento sono presenti e si diffondono funghi come Armillaria (Armillaria sp.), Heterobasidion (Heterobasidion abetinum) e insetti corticicoli che determinano la rapida trasmissione dei funghi patogeni a livello radicale con conseguente possibilità di schianti per deterioramento delle radici di sostegno o morte della pianta in piedi quando invece il patogeno colonizza oltre alle radici anche l’alburno. La situazione descritta crea grave pregiudizio alla sicurezza degli abitanti delle celle dell’Eremo, degli escursionisti e di tutto il complesso monumentale costituito dagli edifici.
Il finanziamento del Ministero ha consentito di fare un’indagine approfondita sui patriarchi verdi. In particolare le 242 piante di Abete bianco della corona sono state catalogate, misurate, georeferenziate ed è stato valutato lo stato di salute di ognuna: personale esperto incaricato ha eseguito uno screening visivo con metodologia VTA (Visual Tree Assessment) supportato da prove strumentali (screening strumentale con Resistograph e tomografia sonica) che hanno consentito di valutarne la stabilità. Le prove hanno evidenziato la necessità di procedere alla rimozione di cinquantacinque piante ricadenti nella classe “D” di propensione al cedimento. Si tratta quindi di abeti che presentano segni, sintomi o difetti gravi tali da far ritenere che il fattore di sicurezza naturale dell’albero si sia ormai esaurito.
Il Reparto Biodiversità di Pratovecchio, in accordo con l’Ente Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, con il Sindaco del Comune di Poppi e con i Monaci Camaldolesi, procederà dunque nei prossimi giorni ad una graduale sostituzione delle piante, questa operazione consentirà di conservare e rinnovare la corona di abeti preservando l’effetto scenografico e la funzione paesaggistica, di traslare gradualmente la corona di abeti dal muro di cinta fino ad una distanza di sicurezza e di mantenere alte le funzioni di stoccaggio di carbonio nelle biomasse residue, nelle nuove piantagioni e facendo entrare nel conteggio il carbonio fissato nei prodotti legnosi derivati dall’utilizzazione.
Nuove piantine di Abete bianco garantiranno la perpetuazione della formazione arborea, a tale scopo è prevista la realizzazione di recinzioni in legno e rete metallica per la protezione, dal morso degli ungulati, della rinnovazione naturale presente. La protezione e le successive cure colturali per favorire lo sviluppo della rinnovazione naturale, è una delle azioni qualificanti il progetto in quanto viene mantenuto il patrimonio genetico delle piante della “Corona dell’Eremo”. Seme raccolto dalle piante della corona è stato fatto germinare presso il Centro Nazionale Carabinieri Biodiversità di Pieve Santo Stefano, il materiale raccolto sul posto garantisce il mantenimento degli ecotipi locali e quindi il carattere genetico specifico della formazione forestale.
Il Comandante del Reparto Carabinieri Biodiversità ha dichiarato che la “Corona dell’Eremo” è patrimonio culturale, storico e naturalistico di ogni cittadino quindi invita gli interessati a visitare il sito, accompagnati dai carabinieri forestali, per meglio comprendere come le problematiche strutturali riscontrate sulle piante, associate alla persistenza di eventi climatici estremi, richiedano misure di intervento non più prorogabili capaci di garantire la pubblica incolumità ai frequentatori e agli abitanti dell’area e, nel contempo, capaci di assicurare la salvaguardia e la perpetuazione di un ambiente forestale che è parte integrante della spiritualità degli Eremiti Camaldolesi.