L’Arte del Presepe – Viaggio tra la storia e la realtà nello stallone dei Conti Guidi a Montemignaio
Già nel 1400 i fiorentini e nel contado, amavano gareggiare fra chiese, monasteri e case private, allestendo la capannuccia più bella, più curiosa, più spirituale e più creativa che si potesse realizzare. I personaggi, spesso e volentieri, erano vere e proprie piccole opere d’arte, fatte in terracotta dell’Impruneta, oppure in gesso da modesti artigiani e, per chi non poteva spendere, la fantasia permetteva di inventarsi pastori e Sacra Famiglia con i materiali più strani e più diversi. Anche se, coloro che hanno dato lustro all’arte del presepe, i più produttivi e i massimi esperti di questa tecnica del gesso, sono e sono stati i cosiddetti “figurinai” della Garfagnana, considerati da sempre artisti per eccellenza che in prevalenza risiedevano nel paese di Coreglia in Val di Lima. Con quel candido materiale povero, fragile e maneggevole ogni artista riusciva a realizzare i vari personaggi del presepe, graziosamente colorati e, in occasione delle sagre, specialmente sotto le feste di Natale, andavano a vendere nelle città e nei paesi, riuscendo così a raggranellare un po’ di denaro. Non tutti i “figurinai” furono semplici e sconosciuti artigiani, qualcuno di loro divenne anche un ottimo scultore, con una propria bottega, come i Della Robbia, Domenico Ghirlandaio, l’Angelico o Benozzo Gozzoli. Altri riuscirono ad allestire una vera e propria fabbrica di statuine di gesso che, con le innumerevoli chiese sparse su tutto il territorio, ogni produzione veniva a trasformarsi in un business commerciale. E questa è anche una della grande diffusione del presepe, che abbiamo avuto da tale tipo di artigianato che, con uso improprio, veniva definito “povero”, solo perché l’acquisto di quelle “figurine” era riservato ad un pubblico appartenente a tutti i ceti sociali e non alla sola e ricca borghesia.
Ancora oggi, in Casentino, ci sono artisti che con la loro arte e la tecnica di creare e allestire, attraverso opportune soluzioni architettoniche e prospettiche le scene, fanno rivivere una tradizione, quella del Presepio, che ha da sempre un preciso obiettivo: riportare al centro del Natale il suo originario significato, quello della Sacra Famiglia. L’artista che ogni anno rinnova questa tradizione del presepe allestendolo in una di quelle “stalle”, anzi nello stallone quattrocentesco che fu a Montemignaio dei Conti Guidi di Battifolle, è Teresa Ferri.
Per lei ogni estate rappresenta l’inizio di quel piacevole lavoro di ricerca che la porterà ad una nuova realizzazione del suo presepe, perché ogni anno deve essere sempre diverso da quello realizzato in precedenza. Nel bosco, suo abituale fornitore, va alla ricerca di rami particolari, contorti, apparentemente insignificanti come parti del fusto o delle radici delle piante, ma anche di muschio e fitti tappetini di borraccina per quella nuova composizione che, per tradizione, ha come scenografia il paese di Montemignaio con le sue frazioni: il Castello, la Pieve, il Mulino, il Santo…
Poi, una volta decisa la nuova composizione, come realizzazione artistica, e nascosti tutti i cavi elettrici che saranno utili per l’alimentazione delle parti meccaniche, inizia a tirare fuori dai seccatoi, dai soppalchi e dalle cantine le scatole della capannuccia con i vari personaggi, accuratamente riposti e incartati l’anno precedente perché non si sciupassero. Il paese che si realizza nello stallone deve essere rappresentato sotto un cielo stellato, partendo dal Castello, in alto sulla sinistra, per scendere alla Pieve, e proseguire verso il Mulino con il suo torrente e l’abbondanti trote, per risalire verso il Santo ed… arrivare al piazzone con il suo storico stallone. Il paesaggio sarà ai piedi della montagna del Pratomagno e la disposizione della borraccina e dei sassolini bianchi servirà a tracciare, con la sabbia, la strada, mentre il sentiero attraverserà il verde dei prati.
Quindi Teresa inizia la realizzazione della capannuccia, sormontata dall’angelo della misericordia e dalla stella cometa. Le casine delle frazioni completeranno la scena con il mulino, il ponte con il fiume dove la lavandaia sciacqua i panni appena lavati, il torrente dove un pescatore ha preso una trota, la vecchia che davanti a casa fila la lana. Infine la coreografia segue con il massimo rispetto l’ordine dei vari personaggi che devono essere collocati ognuno al posto giusto: la Sacra Famiglia, con il bue e l’asinello, i pastori con i loro greggi sui prati e davanti alla grotta, accanto al pozzo, la donna con la mezzina, la contadina con le galline, lo zampognaro che sembra avvicinarsi e infine, quasi fuori di scena, i tre Re Magi che ogni giorno si avvicineranno sempre di più, fino al giorno dell’Epifania, che nella tradizione cristiana assume il significato di prima manifestazione dell’umanità e divinità di Gesù Cristo ai Re Magi. Immagini che grazie ai media locali faranno il giro del Casentino e della Toscana facendo arrivare a Montemignaio sempre più bambini che, accompagnati dai genitori e dai nonni, o con le scuole dei paesi della valle, si organizzeranno con i pullmini, affollando lo Stallone sempre pronti a farsi una foto ricordo di quella visita al presepe.
Ed anche in mezzo ai tanti ragazzi ed alla moltitudine di persone, in presenza di quella Sacra Famiglia si avverte un’atmosfera di serenità dovuta proprio al fascino della capannuccia, il cui valore simbolico non è per fortuna dimenticato e ancora oggi conserva le vestigia francescane di quel lontano fiorire di tradizioni, che rimangono vive solo se continuano ad essere fonte di energia e di tradizione! Una nota bizzarra la vorrei dedicare ad un caro amico, che alcuni anni fa, ci ha lasciato, Riccardo Marasco, quando in occasione del Natale del 1972 incise per Birba Edizioni Musicali La Capannuccia, una canzone in vernacolo che, pure scherzandoci sopra, solo chi ha amato e rispettata la sacralità della vita può permettersi di riderci su quei fatti avvenuti in occasione del primo Natale, proprio come fece l’amico Marasco.
In quella capannuccia, laggiù, ni’ Medioriente,
i’ ventiquattro sera c’era un fottìo di gente!
L’è pien di bancarelle che vendon d’ogni cosa:
croccanti, torroncini, semi, lupini a iosa.
Compratelo i’ mi’ migliaccio! e’ grida i’ barroccino,
L’ho carda la pattona! Ci ho i’ pan di ramerino!
Chi vole le bruciate? Son calde le ballotte!
O palle gira ai’ largo chè tu me l’ha’ già rotte!
I’ duro chi me lo piglia! La bolle c’è i’ trippaio!
Carte, cartocci, bucce, gliè un gran tatananaio!
Chi vende i brigidini, chi mangia i’ buccellato
Chi và chiedendo attorno “ma scusi ‘unn è ancor nato?”
Chi và ciucciando haschìsche, chi gomme americane.
Stia fermo giovinotto la ‘un spinga co’ le mane!
A mezzanotte in punto s’aspetta i’ lieto evento…
Speriamo ‘un faccia tardi perché qui e’ tira vento!
Io vengo tutti gli anni e’ ‘un posso farne a meno.
Vede’ qui’ bel bambino sopra un ballin di fieno!
Io e’ mi commovo facile, scoppiavo sempre in pianti
quest’anno pe’ conforto e mi son portato i’ chianti.
Ni’ mezzo a i’ cicaleggio forte mugghisce i’ bue:
sarà che so’ briaco ma qui e’ n’è nati due!!!
I quattro evangelisti son presi da sgomento
gliè tutto da rifare i’ Novo Testamento!
Un testamento nuovo fatto da i’ Feltrinelli
che narri vita e morte di questi due gemelli.
Poi poi ‘un sarà un gran male, e’ ‘un muta la dottrina.
Pensa un po’ che bordello se gliera una bambina!
Così ni’ pigia pigia vola la santa notte
e gli arabi e gli ebrei tornano a dessi botte!