Visitazione – Simone Ferri (Fine secolo XVI)
Il dipinto (cm.2,56 x 1,69), custodito nella chiesa di Moggiona dedicata ai Santi Jacopo e Cristoforo, raffigura la “Visitazione” con Santi: in primo piano, lateralmente i titolari della chiesa Jacopo e Cristoforo, sulla sinistra San Benedetto e Romualdo, facilmente identificabili attraverso gli attributi; il gigante Cristoforo reca sulle spalle Gesù Bambino, Jacopo ha il bordone del pellegrino, Benedetto il fascio di verghe in mano, simbolo di disciplina e penitenza, Romualdo fondatore dell’Eremo e promotore della Congregazione camaldolese, diramazione riformata dell’Ordine benedettino, il prototipo della chiesa dell’Eremo ai suoi piedi. Jacopo o Giacomo Maggiore, santo protettore dei pellegrini, subì il martirio a Gerusalemme dove fu sottoposto a decapitazione; i discepoli per sottrarre il suo corpo allo scempio del carnefice lo trasportarono su una navicella che a vele spiegate e senza nocchiero giunse sulle coste spagnole dove regnava una regina di nome Lupa che si fece cristiana e ne onorò le spoglie; Cristoforo, il cui nome d’origine era Reprobo, prese il nuovo nome quando si convertì e fu battezzato dopo aver trasportato il bambin Gesù da una parte all’altra del fiume dove faceva da traghettatore. La Legenda Aurea narra di questo gigante cananeo che aiutava i pellegrini ad attraversare un fiume difficile da guadare. Un giorno arrivò un bambino (Gesù nelle vesti di fanciullo) e Reprobo lo caricò in spalla: il bimbo divenne progressivamente sempre più pesante, tanto da far quasi soccombere il traghettatore che si convertì e divenne pertanto nel vero senso della parola “portatore di Cristo”, ossia Cristoforo. La vicenda suggerisce che l’avvento di Cristo rende l’uomo responsabile del mondo intero e non solo del proprio territorio. Il santo divenne pertanto protettore dei pellegrini e dei viaggiatori ed era invocato contro la morte improvvisa, che non dava tempo per il pentimento dei propri peccati, concetto riassunto nel seguente detto popolare: “Chiunque di san Cristoforo l’immagine vede, un giorno almeno contro malamorte provvede”. Al centro del dipinto è raffigurato l’incontro di Maria con Elisabetta che, come narrato nel Vangelo di Luca (Lc.1,36) dopo l’Annunciazione (25 marzo) rimase presso la parente fino alla Natività di san Giovanni Battista (24 giugno). All’ingresso del tempio è raffigurato Zaccaria, membro della classe sacerdotale ebraica e sposo di Elisabetta, con lo sguardo rivolto verso un personaggio maschile, probabilmente da identificarsi con san Giuseppe, con il quale condivide la prodigiosa maternità della sposa, manifestazione della potenza divina cui nulla è impossibile. Anche se la presenza di san Giuseppe nell’episodio della Visitazione non è ricordato né dai vangeli canonici né da quelli apocrifi, la sua figura viene introdotta nella tradizione iconografica dai sermoni dei predicatori o dalle rivelazioni delle mistiche, basti ricordare come eccellente esempio, l’affresco del Pinturicchio (Bernardino di Betto Betti) nell’Appartamento Borgia, Sala dei Santi (Musei Vaticani), databile tra il 1492/94. Nelle forme architettoniche del tempio sono evidenti i rimandi alla facciata della chiesa di Camaldoli cui allude la presenza dello stemma con le due colombe che si abbeverano ad un calice, posto sia sul davanzale della finestra che sullo stipite della facciata. Sullo sfondo l’Eremo con le celle, circondato dalla corona d’abeti, è reso con velature argentee che creano un’atmosfera vaporosa che allude alla distanza tra i due luoghi attraverso l’utilizzo della prospettiva aerea. Alla struttura rinascimentale della chiesa camaldolese fa riscontro, sulla sinistra, l’edificio a pianta centrale che oltre ad essere espressione degli ideali di classica perfezione del Rinascimento, è allusivo al tempio di Gerusalemme: basti pensare allo Sposalizio della Vergine del Perugino della Cappella Sistina databile agli anni 1481/83. La tela, databile a fine Cinquecento è attribuita al pittore Simone Ferri, documentato a Poggibonsi tra il 1564 e il 1600, presenta lo stile del pittore immerso nell’atmosfera delle “sette maniere” del tardomanierismo post-Tintoretto e post-Veronese. Vissuto per decenni a Dubrovnik (1568/ 1578) il Ferri concluse la sua fase di formazione a Venezia prima di stabilirsi a Firenze dove è documentato dal 1581 al 1600. Immatricolato presso l’Accademia delle Arti del Disegno il 18 ottobre 1583 , ricoprirà il ruolo di console nel 1596 e l’ultimo pagamento della tassa risale al 1598. La sua pittura si distingue per una stesura veloce e abbreviata che suggerisce le forme più che definirle con precisione e risente della libera pennellata del Tintoretto che il pittore unisce alla regolarità e la semplicità controriformata di Santi di Tito anche se alcune incertezze risultano nell’impostazione del braccio di san Cristoforo e nell’intreccio delle braccia di Maria ed Elisabetta. La composizione esecutiva segue le linee della sobrietà e semplicità del primo Cinquecento fiorentino e rispecchia l’intensa e devota religiosità diffusasi dopo il Concilio tridentino.