Santa Lucia (Siracusa, 283 – ivi 13 dicembre 304) fu martirizzata sotto Diocleziano, agli inizi del IV secolo. È una delle sette vergini menzionate nel Canone Romano e per tradizione è invocata come protettrice della vista a motivo dell’etimologia latina del suo nome (Lux, luce). Le sue spoglie mortali sono custodite nel Santuario di Lucia a Venezia ma il luogo di culto principale è la Chiesa a lei dedicata a Siracusa. Le vicende agiografiche della santa, sono narrate in due importanti testi di argomento religioso: la duecentesca Legenda Aurea, del domenicano Jacopo da Varazze e le Cronache di Norimberga, opera compilatoria di Hartmann Schedel del 1493. Si tramanda che la giovane siracusana, di agiata famiglia, si fosse recata con la madre Euticia, ammalata, alla tomba di Sant’Agata a Catania per chiederne la guarigione. Mentre Euticia era intenta a pregare, Lucia si addormentò e sognò Sant’Agata che le annunciò che la madre sarebbe guarita proprio per le preghiere della figlia; Lucia decise allora di consacrarsi a Dio, di donare la sua dote ai poveri e di rinunciare al matrimonio programmato con un giovane patrizio. Quest’ultimo, indignato, portò Lucia davanti al tribunale, ove Pascasio la giudicò colpevole, condannandola a subire una serie di torture: si tentò di portare Lucia al lupanare, ma nessuno riuscì a trascinarla; si decise allora di farla tirare da una schiera di buoi, ma l’iniziativa fallì; infine fu tentato di ucciderla conficcandole un pugnale nel collo e mettendola al rogo, ma Lucia morirà solo a seguito della decapitazione. Presso il santuario di Santa Maria del Sasso (Bibbiena) la santa siracusana è ritratta in una tavola datata 1525 e firmata dal domenicano Fra’ Paolino da Pistoia (Paolo di Bernardino del Signoraccio, Pistoia ,1488 – ivi 1547) un pittore che artisticamente si forma nella bottega del padre Bernardino del Signoraccio, il cui stile risente dei modi del Perugino.
Nel 1503, Paolo entra nell’ ordine domenicano avvicinandosi alle idee di Savonarola. Nel 1509 Fra Paolino si trasferisce a Firenze ed entra nella bottega di San Marco, allora diretta da Fra’ Bartolomeo il cui stile risente dei moduli classicheggianti e nel 1517, alla morte di Fra Bartolomeo, la conduzione della bottega, passa nelle sue mani. Eredita dal maestro tutto il materiale tra cui i cartoni e i disegni, che utilizzerà per tutta la vita reinterpretandoli con gusto personale. E’ in questo periodo che Fra’ Paolino avrà contatti con fra’ Ambrogio e fra’ Mattia Della Robbia, figli di Andrea, domenicani seguaci del Savonarola, ai quali si deve probabilmente il fregio con cherubini e colombe del tempietto della chiesa superiore del santuario di Bibbiena. La tavola che Fra’ Paolino realizzò per la cappella di Santa Lucia, nella chiesa inferiore del santuario e che oggi si trova a sinistra della chiesa superiore, presenta al centro il gruppo della Madonna con Bambino seduta su un trono posto sopra un’alta gradinata di pietra, sulla quale si trova la seguente iscrizione: F.P.OR.P MDXXV (FRETER PAULINUSORDINIS PRAEDICATORUM 1525. Quattro santi dell’Ordine domenicano sono posizionati ai lati del trono: a sinistra San Domenico, riconoscibile per la stella rossa sopra la testa, Antonino Pierozzi, proclamato santo da papa Adriano VI nel 1523, Vincenzo Ferrer, predicatore apocalittico e San Tommaso d’Aquino con la stella dorata sul petto. Ai lati, sono raffigurate inginocchiate, due sante martiri: a sinistra Santa Lucia che mostra su un piattino gli occhi e a destra Santa Caterina d’Alessandria con l’attributo della ruota dentata. Il soggetto della tavola, è da ritenersi una Sacra Conversazione, tema iconografico innovativo per l’epoca; il primo esempio di tale tema iconografico è ritenuto, dagli studiosi, la Pala di Annalena, opera del domenicano Beato Angelico, databile tra il 1430 e il 1440.
L’iconografia della sacra conversazione è la rappresentazione della Madonna in trono, circondata da santi e talvolta alla presenza del donatore o dei donatori del dipinto; allude ad un colloquio su temi dottrinali e teologici, da parte dei teologi dell’Ordine che sono disposti in modo simmetrico nello spazio e si rimandano l’un l’altro con gesti e sguardi, come se stessero appunto conversando. La gestualità accentuata dei santi va letta come un linguaggio mimetico del quale si colgono le indicazioni sia verso le sfere terrestri sia verso quelle celesti. Un’opera di grande raffinatezza sia coloristica che compositiva e di elevata qualità artistica nonché dottrinale, commissionata, così come emerge dai documenti d’archivio, da Agniolo di Mariotto di Gilio da Quota.
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