Il barbato, il frecciato, il mitrato, il freddo è andato. Con questo proverbio stagionale introduco la presentazione di San Biagio vescovo (il mitrato) la cui festa liturgica cade il 3 febbraio, avendo in precedenza trattato opere d’arte raffiguranti Sant’Antonio (il barbato) e San Sebastiano (il frecciato).
San Biagio, vescovo di Sebaste (ora Sivas, in Turchia), località dell’antica Armenia, morì martire per decapitazione, sotto l’imperatore Licinio, il 3 febbraio del 316; i suoi resti mortali sono deposti nella cattedrale di Sebaste. Nel 732 una parte delle sue reliquie venne imbarcata da alcuni cristiani armeni per essere portata a Roma. Un’ improvvisa tempesta però fermò la nave a Maratea (Potenza) dove sul Monte che fu poi a lui dedicato, fu eretta una chiesa per accogliere quelle preziose reliquie. Le poche notizie sulla biografia del santo, sono state tramandate prima oralmente e poi raccolte in agiografie, come quella di Camillo Tutini, Narratione della vita e miracoli di S. Biagio Vescovo e Martire (Napoli, 1637). L’agiografia di San Biagio tramanda che il santo fu sottoposto a più torture: dopo essere stato legato ad un tronco, la sua pelle venne lacerata con pettini di ferro come quelli usati per cardare la lana e proprio per questo è patrono dei materassai e dei cardatori. Altra tortura cui sopravvisse il martire, fu il tentativo di annegamento: gettato in un lago, miracolosamente Biagio si salvò camminando sull’acqua fino a raggiungere la sponda opposta. Il miracolo più noto a lui attribuito, riguarda una madre che si rivolse al santo affinché salvasse il figlioletto destinato a morire soffocato per una lisca di pesce conficcatasi nella gola. Per aver salvato il piccolo, donandogli un pezzetto di pane, il santo è invocato come taumaturgo dai malati di gola. L’agiografia del santo vescovo tramanda anche un altro episodio miracoloso: un giorno Biagio incontrò una donna disperata perché un lupo le aveva portato via l’unico maiale che aveva e che rappresentava l’unica fonte di sostentamento per lei e la famiglia. L’intervento del santo indusse il lupo alla mitezza e così l’animale ammansito riportò il maialetto alla donna. Un po’ di tempo dopo, quando Biagio fu imprigionato, la donna, ricordandosi dell’accaduto, uccise il maialetto e ne portò alcune parti al santo per riconoscenza, insieme ad una candela fatta con il sego (la candela infatti con il pettine da cardatore, è uno degli attributi del santo). L’iconografia più diffusa di San Biagio, è quella che lo raffigura con la mitria e il pastorale da vescovo, con due candele incrociate utilizzate per la benedizione della gola, con il pettine di ferro da cardatore (con questo attributo lo troviamo raffigurato anche da Michelangelo nel Giudizio Universale della Cappella Sistina e in un affresco nella Cappella Buonafede nella Pieve di Stia). Altre volte viene raffigurata la scena della madre che chiede di salvare il bambino con la spina di pesce in gola oppure quella del dono della testa del maialetto al santo imprigionato. Nella Chiesa di Ama (Pratovecchio) risalente al secolo XI, uno dei più interessanti esempi di architettura rurale romanica della vallata, dedicata al santo vescovo armeno, sulla parete di destra è conservata una tela databile al secolo XVIII, di ignoto artista toscano provinciale, che utilizzando un linguaggio artistico di tono popolare, raffigura il santo con la mitra e il pastorale mentre salva un giovane inginocchiato davanti a lui e una figura femminile nell’atto di donare al santo una testa di maiale contenuta in un vassoio. Il pittore ha voluto concentrare nel dipinto i due miracoli più noti di San Biagio, lasciando alla comunità di Ama un raro esempio di arte popolare didascalica, con episodi tratti dalla agiografia del santo titolare della chiesa. Il pittore ha voluto contestualizzare il racconto proprio per i fedeli di questa vallata e per raggiungere il suo obiettivo ha raffigurato sullo sfondo anche il monte della Verna. Un’opera realizzata con un linguaggio pittorico semplice e facilmente comprensibile, accattivante e coinvolgente, come sta a dimostrare la faccia grigiastra del diavolo nell’angolo di sinistra, portatore di ogni male, alla presenza del quale, anche i due angioletti in alto a destra sembrano spaventarsi. Così i fedeli non soltanto sentivano il santo taumaturgo più vicino a loro e ne invocavano la protezione per le malattie della gola ma lo pregavano anche per la salvaguardia dagli incidenti sul lavoro di cardatori, lanaioli e materassai: non è da dimenticare che molti abitanti della zona, con tutta probabilità, esercitavano questi mestieri poiché l’attività laniera (panno del Casentino) è documentata in quest’area geografica, fin dal Medioevo.