Il 16 marzo, giorno della ricorrenza della morte del beato Torello, Poppi ricorda il suo protettore nato nel 1202 e morto nel 1282 con una celebrazione religiosa. In quel giorno il beato è festeggiato anche nelle diocesi di Forlì di cui è compatrono e di Arezzo nonché dalla Congregazione vallombrosana. Il patrono di Poppi viene onorato con la celebrazione di una Messa anche se la festa solenne viene celebrata, ormai da moltissimi anni, la seconda domenica dopo Pasqua; tale consuetudine è probabilmente legata al fatto che l’anniversario della sua morte cade sempre in periodo quaresimale. Torello della nobile famiglia dei Torelli, all’età di venti anni si converte, dopo un fatto straordinario che fu motivo di mutamento nella sua vita dedita al vizio e al gioco: un gallo improvvisamente spiccò il volo e si poggiò sulla sua spalla e cantò per tre volte; l’episodio viene interpretato come un canto di risveglio per l’anima del giovane che fino a quel momento era vissuto nel peccato.Il giovane Torello, decise allora di cambiar vita e si recò alla badia di San Fedele della Congregazione di Vallombrosa, per confessarsi e poi ritirarsi, come eremita, ad Avellaneto, località ad un miglio dal paese di Poppi. Qui per circa 60 anni, condusse un’austera vita di contemplazione, di digiuni e di preghiera. Già in vita il beato Torello fu oggetto di culto conclamato dai suoi paesani per i miracoli che gli furono attribuiti, tra i quali il più noto è quello di aver salvato dalle fauci di un lupo un bambino. Negli anni 1595-96 molte furono le riforme che tesero a sopprimere alcuni culti di santi non riconosciuti ufficialmente dalla Chiesa: anche le celebrazioni in memoria del beato di Poppi vennero soppresse ma Clemente VIII, il 28 dicembre 1595, su richiesta di Ferdinando de’ Medici, terzo Granduca di Toscana, ripristinò lo status quo ante e le celebrazioni liturgiche connesse. L’iconografia raffigura Torello con accanto un lupo e a volte in atto di benedire una donna in avanzato stato di gravidanza: ricorrevano a lui le donne in attesa del parto e le madri in pena per la salvezza dei loro figli, narrano le fonti documentarie; e ancora – “E ovunque sarà il libro della mia vita non vi possa nascere creatura che abia meno verun membro e non vi possa morire donna di parto, tenendo addosso con perfecta fede il libro mio essendo la donna purificata e netta da peccato mortale – come si legge nella Vita del beato. La più antica raffigurazione della scena della benedizione di una donna in stato di gravidanza da parte del beato Torello, a noi nota, risale agli anni settanta del secolo XVIII; si tratta di una grande tela, opera del pittore fiorentino Sante Pacini, originariamente posta presso Santa Trinita a Firenze e che oggi si trova a Vallombrosa. Da questo dipinto furono tratte molte stampe e santini che nel secolo XIX furono stampati anche dalla nota casa editrice francese L. Turgis che aveva sede a Parigi. A Poppi presso la badia di San Fedele, in una teca posta nella parete laterale di sinistra, è conservato il Busto Reliquiario del Beato, un’opera in rame dorato, argento, legno, paste vitree, che reca sul fronte un’iscrizione: CAPUT B. TORELLI EREMITE e sul retro la data 1606. Il reliquiario a busto metallico in rame dorato, testa in argento con il volto barbato, di tipo naturalistico, è caratterizzato da grandi occhi con iride e pupilla segnate da una sottile incisione, naso dal tratto dritto, zigomi evidenziati da un particolare scavo delle guance; il busto raffigura un abito monastico caratterizzato dallo scapolare, elemento caratteristico dell’abito vallombrosano, poggia su uno zoccolo in lamina di rame dorato, decorato da una serie di castoni policromi in cristallo e paste vitree. La storica dell’arte Ceccobelli ritiene che il reliquiario sia frutto di un assemblaggio ottenuto utilizzando un pezzo di riuso, il busto in rame dorato che giunse da Roma, tramite Valerio Cascesi, in epoca imprecisata, alla bottega fiorentina di Luca Naccherelli cui spetterebbe dunque la realizzazione della testa e l’assemblaggio. I due pezzi infatti presentano una dissonanza nelle qualità plastiche; la bicromia oro/argento utilizzata per il reliquiario, è una caratteristica che riflette da una parte il gusto per la cromia tipica del secolo XVII e al tempo stesso la rispondenza con precise istanze di ordine religioso – liturgiche: in applicazione ai dettami conciliari infatti dovevano essere adottati metalli preziosi per la conservazione delle sacre reliquie e la testa del patrono, costituiva sicuramente la parte più preziosa delle spoglie del beato. Il volto del reliquiario di Torello si riconnette con i modi della ritrattistica civile del secolo XVII e rimanda all’ambiente artistico della bottega del Giambologna e dei suoi allievi.