Il 2024 è l’anno delle stimmate di San Francesco. Nell’ottavo centenario da quel prodigioso evento, avvenuto sul monte de La Verna (Arezzo) nel settembre del 1224, in occasione del venerdì santo, presento la pala d’altare della cappella delle stimmate, luogo dove il Signore rese simile a sé il santo d’Assisi. La grande ancona centinata, alta sei metri e composta da 720 pezzi assemblati sul luogo, occupa tutta la parete di fondo dell’edificio ed è completata da ben due cornici: quella interna preceduta dal motivo del cordone con nodi tipico dell’Ordine Francescano, presenta teste alate di cherubini, l’altra un ricco festone di frutti e fiori, ornamento tipico della bottega dei Della Robbia; decorazioni di ovoli e dentelli completano la centinatura; alla base un’iscrizione e un variopinto dossale con mattonelle a motivi geometrici. Commissionata dal fiorentino Tommaso degli Alessandri, la pala è stata realizzata da Andrea della Robbia nell’anno 1481 e raffigura Cristo crocifisso tra angeli con la Madonna, san Giovanni e i santi Francesco e Girolamo. Andrea (Firenze, 1435 – ivi, 1525) grande maestro del Rinascimento fiorentino, fu scultore e ceramista; nipote di Luca della Robbia, fratello di suo padre Marco, realizza questa grande pala d’altare con la tecnica inventata dallo zio: terracotta invetriata, arte nuova, utile e bellissima a detta del Vasari. Si tratta dell’opera più imponente e tra le più rappresentative dell’intera produzione robbiana e per quanto impaginata con la tradizionale scansione e simmetria di una concisa evidenza, e un’equilibrata compostezza di tradizione classicheggiante, manifesta l’aspirazione dello scultore ad una maggiore ampiezza e articolazione formale, caratteri che distinguono l’arte di Andrea negli anni ottanta. Sopra la croce è presente il pellicano con i suoi piccoli che è uno tra gli animali più rappresentati nella simbologia funeraria cristiana, simbolo del sacrificio di Cristo, dell’Eucarestia e attributo della Carità. La credenza che si lacerasse il corpo pur di conservare in vita i suoi piccoli, originata forse dall’atto con cui il pellicano curva sul petto il becco per estrarne più comodamente cibo per la nidiata, fa riferimento alla vicenda dei piccoli che colpiscono gli occhi del padre il quale, adirato, prima li uccide, ma poi pentito e addolorato per la loro morte, dopo tre giorni li fa ritornare in vita grazie al sacrificio di sé; squarciandosi il petto li inonda del suo sangue riportandoli così alla vita ed è pertanto considerato simbolo dell’amore paterno o materno.(Cfr. Gerd Heinz-Mohr, Lessico di iconografia cristiana, Milano I.P.L. 1984, p. 279). «Verso mezzogiorno si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio», così i sinottici descrivono l’eclissi che si verificò nell’ora della morte di Cristo. Un evento cosmico che segna la partecipazione della creazione al grande Mistero della fede cristiana: la morte e risurrezione del Signore Gesù. Puntualmente l’arte registra, almeno fino al XV secolo, il fenomeno dell’eclissi elaborando suggestive iconografie: una di queste è la personificazione del sole e della luna. Tra le mille supposizioni che pescano all’interno della simbologia pagana (il sole e la luna apparivano nell’iconografia delle divinità solari della Persia e della Grecia) ve ne sono alcune autorevoli legate all’ambito cristiano. Una, più strettamente aderente agli scritti dei padri della Chiesa, è quella che fa riferimento a Sant’Agostino. Per il santo d’Ippona, l’eclissi fu l’esemplificazione simbolica della verità teologica concernente la morte del Redentore. Cristo ha fatto dei due un popolo solo: Antico e Nuovo Testamento, antica e nuova alleanza, popolo ebraico e popolo pagano trovano nella croce del Salvatore una mistica unità. La luna, che brilla di luce riflessa e che Origene identificherà con la Chiesa, era già simbolo del popolo ebraico (il cui calendario – del resto – era lunare), mentre il sole – grazie alla rielaborazione cristiana del Sol Invictus romano – era identificato con Cristo stesso, vero Sole dell’umanità.