Nella giornata mondiale della Terra, un segnale di speranza. Si annunciano progressi contro il cambiamento climatico
Il 22 aprile scorso si è celebrata la giornata mondiale della terra, ricorrenza che è anche una sfida globale ed allo stesso tempo un’occasione per celebrare il pianeta. Ma è stata soprattutto per sensibilizzare sull’emergenza climatica, che potrebbe arrivare a un punto di non ritorno se non si inverte radicalmente la rotta.
Nei giorni scorsi leggevo il titolo di un quotidiano che riportava: “L’umanità si comporta come il figlio delinquente della nostra madre Terra”. E dal momento che non mi ritengo un delinquente, oltre alla crisi climatica e ai suoi effetti sul nostro pianeta, vorrei fare una mini riflessione, o meglio un approfondimento con un nuovo socio del Rotary Club Casentino, Marco Lerzio, esperto di Biologia Ambientale.
E, dal momento che ci troviamo nel cuore delle foreste casentinesi, affrontare con lui il problema della CO2, l’anidride carbonica che troviamo in atmosfera e di “fissarla” nel legno… che è composto per circa il 50% di carbonio, dal momento che, grazie alla fotosintesi gli alberi, di cui tanto se ne parla, sono in grado di assorbire l’anidride carbonica del nostro pianeta.
Una capacità fissativa riconosciuta in passato anche dal “protocollo di Kyoto” che ammette l’utilizzo delle foreste quale strumento per cercare di rallentare l’aumento delle concentrazioni di CO2 in atmosfera.
Per questi motivi e per fare chiarezza, chiediamo all’amico Marco Lerzio se sia veramente un’emergenza urgente quella del clima, soprattutto se l’Europa è il continente che si sta riscaldando più rapidamente degli altri rispetto alla media globale?
“La foresta è uno strumento di “mitigazione” e non certo di riduzione delle emissioni. Tuttavia la capacità di assorbire CO2 e, soprattutto, di fissarla in modo durevole nel legno o nel suolo varia moltissimo e seconda del tipo di foresta e delle modalità di gestione.
Di frequente si leggono opinioni circa l’efficacia di assorbimento di CO2 dei boschi che inducono i non-tecnici a pensare che le foreste e mi riferisco soprattutto alle nuove, possano avere un ruolo estremamente rilevante nel ripulire l’atmosfera.”
Quindi dovremmo piantare ancora più alberi?
“Gli alberi non sono l’unica riserva naturale di acchiappa-carbonio del sistema terrestre, anche l’oceano svolge una funzione simile e piantare alberi è una condizione necessaria ma non sufficiente per contrastare la crisi climatica.
Faccio un esempio: attraverso la fotosintesi gli alberi trasformano la CO2 in composti organici utili alla loro fisiologia, i carboidrati, e liberano l’ ossigeno usando l’energia delle radiazioni solari. Durante la fase di respirazione poi ossidano queste molecole e liberano nuovamente CO2: ma una parte consistente del carbonio viene fissata nel legno.
La quantità di anidride carbonica assorbita, tuttavia, cambia in base a molti fattori: prima di tutto perché, a seconda della specie, un albero potrebbe emettere o catturare un diverso quantitativo di CO2; poi perché un albero non sequestra anidride carbonica a un livello rilevante prima di alcuni anni ed il vero problema diventa la crescita dell’albero che impiega molti decenni e, successivamente, si ferma una volta giunto a una certa età.
Ma un altro problema si evidenzia quando la quantità di CO2 presente nell’aria è troppo alta affinché venga assorbita tramite questi processi e diventa ancora più grave se l’uomo distrugge queste riserve, ad esempio attraverso la deforestazione.”
Quindi la deforestazione incide in maniera determinante sulla qualità dell’aria…
“L’equazione è apparentemente semplice: meno alberi uguale a più CO2 in atmosfera uguale a temperature più alte e un clima sempre più in squilibrio; più alberi uguale a meno CO2 e temperature più basse uguale a effetti mitigati dei cambiamenti climatici.”
Una soluzione al problema?
“La canapa! La canapa ha un ciclo vitale di soli 3 mesi durante i quali 1 ettaro di coltivazione arriva ad assorbire in media 16.000 kg di CO2. Ma le qualità della canapa non si esauriscono con l’assorbimento di CO2: non necessita di ammendanti, non richiede interventi fitosanitari, cresce senza irrigazione e sovrasta rapidamente le piante infestanti senza ricorrere a diserbanti, senza contare che ad oggi si contano oltre 1500 campi di applicazione industriale della canapa.
La soluzione al problema è quella di tornare al passato e questa potrebbe rappresentare la nuova via per un futuro veramente green del nostro pianeta. In confronto le foreste catturano tipicamente da 2 a 6 tonnellate di anidride carbonica per ettaro all’anno, a seconda del numero di anni di crescita, della regione climatica, del tipo di alberi… “.
Quindi secondo te la canapa potrebbe rivelarsi un formidabile strumento nella lotta al cambiamento climatico?
“Certamente si! E non è un caso che molti ricercatori affermino che questa pianta che ha una crescita rapida di tre-quattro mesi e pertanto sia due volte più efficace degli alberi nell’assorbire e bloccare il carbonio. I ricercatori infatti sostengono che con 1 ettaro di canapa si assorbano da 8 a 22 tonnellate di CO2 all’anno a seconda della varietà coltivata: più di qualsiasi bosco.
La Co2 è anche fissata in modo permanente nelle fibre di canapa, che possono essere utilizzate per molti prodotti tra cui tessuti, isolamento per edifici e in biomattoni per l’edilizia.”
Ma la canapa, è una varietà della Cannabis?
“La canapa, o canapa industriale, si chiama Cannabis sativa e fa parte del genere Cannabis come la ruderalis e la indica ma contrariamente a queste specie contiene livelli molto bassi del composto psicoattivo presente nella marijuana.
La storia di questa pianta è antichissima, dato che è stata coltivata per migliaia di anni per le sue fibre, tradizionalmente usate per corde, tessuti e carta.
Fino alla fine degli anni ’30 del secolo scorso l’Italia è stata il secondo produttore di canapa al mondo per quantità dietro la Russia, mentre il clima della penisola e le caratteristiche pedologiche permettevano di poter vantare le migliori fibre e i tessuti più resistenti.
Nei secoli precedenti la qualità e la resistenza di vele, sartiame e gomene prodotte in Italia avevano armato le navi Inglesi e permesso l’espansione dell’Impero Britannico e lo sviluppo commerciale della Compagnia delle Indie.
Anche la tecnologia legata alla lavorazione delle fibre rappresentava un fiore all’occhiello dell’ingegneria del Bel Paese: fino ad allora le fibre di canapa venivano estratte macerando in acqua i fusti, con gravi conseguenze per l’ambiente e per la salute degli agricoltori.
Nell’agosto 1935 la Federazione Nazionale dei Consorzi per la Difesa della Canapicoltura istituisce il “Concorso per la realizzazione di una macchina stigliatrice di canapa non macerata e trasportabile nelle aziende di produzione. Il primo premio consisteva nella importante cifra di 18.000 lire!
Per capire l’importanza del premio bisogna paragonarlo al valore degli stipendi di allora: un operaio guadagnava 300 lire al mese; lo stipendio di un insegnante laureato poteva arrivare a 800 lire, mentre un alto dirigente portava a casa le famose 1000 lire al mese che rappresentavano il sogno di buona parte della popolazione italiana, come cantava Gilberto Mazzi nella canzone popolare “Mille lire al mese”.
Ma all’orizzonte si profilava una minaccia letale per la canapa italiana: tra gli anni 1930 e 1940 vennero realizzate le prime fibre sintetiche prodotte da polimeri ottenuti da composti organici: in particolare dal petrolio. Le fibre sintetiche sembravano una conquista di civiltà e in breve tempo soppiantarono completamente l’uso della canapa: il bagaglio di conoscenze relative alla coltivazione, alla produzione e alla lavorazione venne presto perduto e della canapa si perse ogni traccia.
Il colpo di grazia fu dato negli anni ’60 con la messa al bando della Cannabis come pianta stupefacente. Il destino della canapa sembrò così segnato. Ma l’uso del petrolio, ahimè, si è rivelato un percorso infido: inquinamento, aumento della CO2 nell’atmosfera, aumento delle temperature e cambiamento climatico sono gli effetti devastanti dell’uso sconsiderato di combustibili e derivati da risorse fossili.
All’inizio del nuovo secolo una nuova fase è quindi iniziata: la consapevolezza che l’uomo deve intervenire per preservare l’equilibrio del pianeta e di conseguenza il benessere di chi lo popola.”
E tutto quanto si dice intorno agli alberi?
“Mentre gli alberi rappresentano una visione a lungo termine perché un albero impiega in media 50 anni per raggiungere il massimo sviluppo al contrario dell’ecosistema che nel suo insieme impiega oltre 150 anni per divenire “performante” in termini di rigenerazione climatica, ci sono azioni che possono essere compiute da subito per migliorare l’ambiente.
Gli alberi assorbono CO2 dalle foglie: 10 alberi adulti, ad esempio roveri di 50 anni di età, hanno una superficie complessiva di 1 ettaro e assorbono 450kg/anno di CO2.
Per contro la canapa ha un ciclo vitale di soli 3 mesi durante i quali 1 ettaro di coltivazione arriva ad assorbire 16.000 kg di CO2. Ma le qualità della canapa non si esauriscono con l’assorbimento di CO2: non necessita di ammendanti, non richiede interventi fitosanitari, cresce senza irrigazione e sovrasta rapidamente le piante infestanti senza ricorrere a diserbanti, senza contare che ad oggi si contano oltre 1500 campi di applicazione industriale della canapa.”
Guardare indietro per andare avanti… in parole povere tornare al passato potrebbe rappresentare la nuova strada per in nostro futuro: un futuro “green” del nostro pianeta.