Romualdo (Ravenna, tra il 951 e il 953 – Fabriano, 19 giugno 1027) è stato il fondatore dell’eremo e della Congregazione camaldolese, diramazione riformata dell’Ordine benedettino. La sua biografia, Vita di San Romualdo, scritta quindici anni dopo la sua morte da san Pier Damiani, ci informa che era figlio del duca Sergio degli Onesti di Ravenna e di Traversara Traversari. Morì presso l’Abbazia di San Salvatore in Valdicastro presso Fabriano. Fu beatificato appena cinque anni dopo la morte e fu dichiarato santo nel 1595, da papa Clemente VIII. Dal 1481, i suoi resti mortali sono conservati nella Chiesa dei Santi Biagio e Romualdo a Fabriano. L’iconografia più nota del santo, lo vede raffigurato con il modellino della chiesa dell’eremo di Camaldoli che ne evoca la fondazione o in compagnia dei monaci che di bianco vestiti salgono lungo una scala che è collegata al cielo (il sogno di Romualdo). Meno nota è la raffigurazione del Miracolo del faggio che vede l’anacoreta capace di dominare la natura attraverso la preghiera. Il miracolo viene descritto nel capitolo XLVII della Vita : un giorno mentre Romualdo si trovava nella sua celletta presso l’Eremo di Camaldoli, un grosso faggio che due boscaioli stavano abbattendo, rischia di cadere sulla cella travolgendo anche l’eremita che con pacatezza e con la forza delle preghiere si affidò al cielo riuscendo a deviare la direzione della caduta. L’episodio miracoloso è raffigurato in una tela collocata sopra l’altare della cella di Romualdo ed è attribuita al pittore fiorentino Francesco Soderini (Firenze 1671 -1736). L’artista allievo di Alessandro Gherardini e di Giovanni Niccolò Rombout specializzato in pittura di paesaggio, fu apprezzato dalla casata medicea e in particolar modo dall’Elettrice Palatina. Il dipinto, improntato a criteri di sobrietà e di medietas, presenta ombre brune che lo caratterizzano; condotto con piglio sicuro e pennellate filamentose, capaci di modellare la materia pittorica esaltandone il dato cromatico e luministico, presenta un’attenzione allo studio delle luci e dell’atmosfera così come alla descrizione minuziosa delle fronde dei grandi faggi del bosco che dominano la composizione e sono messi in evidenza da squarci di luce. Soderini ambienta la scena entro un paesaggio di ampio respiro, nel quale si inseriscono con eleganza la costruzione architettonica alle spalle del santo e un’immaginaria rovina sulla sinistra; è evidente che il paesaggio raffigurato rimanda alla tipologia di quello “alla romana” realizzato con gradevoli tonalità cromatiche e un sapiente uso del luminismo che rivelano il più autentico Soderini paesaggista, allievo del Rombout.
Il grande faggio realizzato con rapidità di tocco e vivacità esecutiva è spinto e tirato nella direzione opposta a quella della cella dalle vivaci figure di due angioletti, che sembrano quasi impegnati in un gioco voluto dal cielo per salvare il santo eremita. Le figure dei boscaioli dalle espressioni impaurite, sono spigliate, di buona qualità, rese con pennellate veloci; la maestosa figura di san Romualdo, con la pacatezza che gli deriva dalla fede, conquista solennità grazie alla solida volumetria del panneggio, notevole nel fraseggio cromatico delle tonalità del bianco e la sua fisionomia presenta tratti somatici marcati, evidenziati attraverso veloci pennellate circolari e tonalità accattivanti e liquide. La datazione dell’opera può aggirarsi intorno al 1734 come sostenuto dalla studiosa Lisa Leonelli che su basi stilistiche attribuisce il dipinto al Soderini ritenendo che la tela possa essere assegnata alla fase estrema dell’artista per l’equilibrio formale e per gli alti risultati raggiunti, vicini alle Virtù allegoriche di villa La Quiete a Firenze. L’armonia tra il santo e l’ambiente forestale che esercita una grande forza di suggestione, non solo valorizza l’evento miracoloso ma sottolinea anche la sacralità dell’eremo che conserva ancor oggi un’aura mitica proprio grazie al contesto silvestre. Anche in questo dipinto Soderini si mostra raffinato interprete del paesaggio che sa rendere con effetti atmosferici; la presenza di rovine e i riflessi rosati del cielo al crepuscolo, atti ad aumentare l’impatto scenografico, rendono la pittura animata e pittoresca tanto che pare di sentire i refoli del vento che agitano le fronde dei faggi secolari.