di Roberto Gennari
Ho conosciuto Monica Norcini nel lontano 1990, siamo stati compagni di classe alle scuole medie e abbiamo entrambi frequentato il Liceo Scientifico ad Arezzo. È stata la mia segretaria in svariate occasioni in cui ho ricoperto l’ingrato incarico di presidente di seggio. Ha vissuto a Capolona per tanti anni, come me, e abbiamo tuttora un sacco di amici in comune. Al di là della conoscenza personale, però, ho sempre avuto di lei l’opinione di una ragazza parecchio, ma parecchio in gamba. Un giorno, me lo ricordo come se fosse ora, eravamo al seggio per le elezioni comunali di Capolona e mi fa “oh, io mi sa che mi vado a fare un anno in America, ho diverse opportunità e alla fine mi sono praticamente decisa. Vado.” Alla fine, dissi tra me e me, non mi ero sbagliato: Monica era (anzi, è) davvero una persona in gamba. Il suo “un anno a New York” si è “leggermente” allungato, e adesso ancora vive e lavora lì. L’unica cosa che le dissi – correva l’anno 2008 – fu “e io come faccio a fare il presidente di seggio senza il tuo aiuto?” Non ho più fatto il presidente di seggio da allora. Questa chiacchierata con la mia compaesana farà capire anche a voi di chi parlo.
1) Via il dente, via il dolore: sei partita per New York ormai da qualche tempo… dicci come, dove e soprattutto perché?
Sono partita circa 7 anni fa e doveva essere soltanto un’esperienza di un anno all’estero durante il mio Ph.D. in Farmacologia e Tossicologia che stavo svolgendo presso l’Università degli Studi di Firenze. Doveva essere solo un anno, un anno per poter imparare meglio la lingua inglese, un’esperienza importante da mettere ‘in bold’ (in grassetto, NdR) nel mio curriculum di scienziata per poter avere quell’esperienza in più che speravo mi avrebbe potuto differenziare dai numerosi PhD in cerca di lavoro che l’Italia fa crescere ed istruisce (anche bene, per giunta!) e di cui poi si dimentica e lascia senza lavoro. Ho mandato il mio CV a poche e mirate università in cui veramente sognavo di andare. Sono stata contattata da molte e dopo vari colloqui ho deciso di accettare la posizione che mi era stata offerta all’NYU Langone Medical Center. Appena arrivata (sebbene non capissi molto di quell’inglese parlato cosi velocemente e ‘condito’ di troppe abbreviazioni) mi è stato affidato un progetto totalmente nuovo, molto interessante e quindi una sfida davvero grande per me. Dopo poco il progetto era diventato ‘mio figlio’ e finito il primo anno di permanenza negli States non potevo abbandonarlo… Mi hanno chiesto di restare fino alla fine del mio dottorato e ho detto di sì! Prima ancora di finire il dottorato mi avevano già offerto una nuova posizione da Post-Doc. Adesso sono Ricercatrice presso il Dipartimento di Anestesiologia e Cura del Dolore sempre dell’NYU Medical Center ed il mio progetto è diventato praticamente il progetto cardine del laboratorio e da questo sono nati molti progetti satellite.
2) Cosa NON ti manca maggiormente, dell’Italia?
Non mi manca la gente che si lamenta di tutto, talvolta anche senza troppa ragione, la gente che parla tanto ma poi in pratica non si applica per cambiare e cercare di migliorare il mondo intorno a loro. Un’altra cosa che non mi manca è l’assenza di meritocrazia che purtroppo spesso esiste in Italia! Io sono arrivata qua sola, senza essere la ‘figlia’ di nessuno ma lavorando senza sosta (7 giorni alla settimana per 12-14 ore al giorno) e con intelligenza e rispetto sono cresciuta e mi sono creata la mia piccola carriera. Se fossi stata a perdere tempo lamentandomi, forse sarei senza lavoro! Qui ogni anno ognuno di noi viene giudicato da una commissione che valuta quanti articoli abbiamo pubblicato, il lavoro svolto con gli studenti, quanti grant abbiamo scritto etc etc. Se non hai prodotto sufficientemente, vieni mandato via, che tu sia ricercatore, professore o capo del dipartimento. Nessuno è certo della propria posizione e nessuno si permette di dare niente per scontato come molte persone fanno in Italia. Secondo la mia esperienza, qui anche se con molte difficoltà e molte rinunce, se sei una persona capace e intelligente, quello che vali ti viene riconosciuto. Anche qui si è molto sentita la crisi, le cose sono cambiate molto negli anni ed è molto più difficile avere sponsorizzazioni, sia pubbliche che private, e anche trovare lavoro è complicato data anche l’elevata competizione, ma le persone reagiscono diversamente: c’è meno negatività e soprattutto molta più voglia di fare che di lamentarsi!
3) In ultima analisi e passato il periodo di innamoramento iniziale, vivere a New York è veramente così figo come sembra a raccontarlo da di qua dell’oceano?
Sì, New York è davvero una città figa come sembra e viene raccontata! 🙂 È una città caotica e difficile ma davvero speciale. È una città piena di diversità culturale, di luoghi unici e singolari che convivono tra di loro. New York ha una elevatissima quantità di magnifici musei, mostre, arte, danza, teatro, ma anche solo camminare per i suoi quartieri è un’esperienza bella e diversa. È una città unica, che ti dà la possibilità di conoscere tante culture diverse anche solo parlando con il tuo vicino di subway (metropolitana) o il tuo collega di lavoro. Qualunque cosa tu voglia c’è!
4) C’è mai stato un momento in cui hai pensato che il gioco non valesse la candela?
Sì, certo! Sinceramente fino al momento in cui non avevo mio figlio, no. Ero una ragazza che aveva a disposizione una città piena di cultura ed interessi e quindi non mi chiedevo neppure se ne valesse la pena. Avevo un lavoro che amavo, una città come questa a disposizione e la possibilità di tornare a casa dai miei Cari con qualche ora di volo. Ma da quando è arrivato mio figlio la guardo con occhi diversi. È sempre la mia New York, ma troppo difficile, davvero troppo difficile e costosa per due persone senza una famiglia vicino. Credo che anche in Italia la vita cambi completamente quando si hanno dei figli, ma qui è davvero tutto più amplificato perché ci sono barriere anche architettoniche e di tempistiche enormi. Certamente sono cambiata anche io, ma soprattutto sento che vorrei Tommy potesse godere di una vita più serena in cui i genitori possano essere più presenti e in cui possa godere dell’affetto elle nostre Famiglie non solo qualche settimana all’anno. Tanto per darvi un’idea: tornando in Italia ho sentito mamme lamentarsi di non avere tempo per se stesse, di maternità e problemi di inserimento al nido. Io ho avuto 4 settimane di maternità totali. Ho lavorato fino al giorno in cui ho partorito (lavoravo in ospedale a due piani dal reparto maternità, quindi ero più vicina lì che da casa ma insomma…). Sono rientrata al lavoro che mio figlio aveva 12 giorni. Nonostante questo ho allattato fino a 7 mesi, ho presentato il mio lavoro a Congressi in giro per gli USA portandomi dietro mio figlio e mia mamma senza la quale non avrei potuto fare niente di tutto questo. Senza di lei sarei in Italia da 3 anni! Il nido costa più di 2000 dollari al mese se sei fortunato. Da mamma ho sofferto molto a lasciare mio figlio così presto, ma non per questo mio figlio mi ama di meno. È un bambino sereno, dolcissimo e molto indipendente. Se mi chiedete se sia stato giusto vi rispondo che non è umano, che è sbagliato e molto triste. Ma l’ho fatto perché non potevo, né volevo, perdere il mio lavoro per cui ho studiato e faticato tanto. Tommaso passa i mesi estivi con i nonni in Italia. Tutte le mamme italiane che lo ‘scoprono’ mi guardano come se fossi un’aliena e iniziano a domandarmi come faccio e mi ricordano che loro non potrebbero mai lasciare i loro piccoli. Ed io ogni volta dentro di me mi chiedo… credono che io faccia i salti di gioia? Che io sia serena e che non soffra per tutto il periodo che non ho mio figlio con me? Sì, TANTISSIMO! Ma so di dare a lui una grande gioia, so che si diverte e si riposa, che passa estati indimenticabili. So anche di dare ai miei genitori e a quelli di mio marito la gioia di potersi godere il nipote almeno per qualche settimana all’anno. Lo faccio soprattutto per lui, lo faccio perché credo che noi genitori non dobbiamo essere egoisti, ma cercare sempre di dare più possibilità possibili ai nostri figli. Poi di nuovo, se potessi essere in Italia e mandare mio figlio al mare con i nonni e andare a trovarlo due volte alla settimana sarebbe un sogno! Ma non è possibile. Quello che voglio trapeli dalle mie parole è che esistono poche situazioni ideali ad oggi, in qualunque paese tu viva e qualunque lavoro tu faccia, ma che si deve cercare sempre di prendere il meglio che si può senza lamentarsi troppo.
5) Io comunque, conoscendoti ormai da qualche anno, scommetto che ti tieni lo stesso aggiornata su quello che succede in Italia… Sbaglio?
Sì, mi tengo più aggiornata possibile su quello cha succede in Italia. Ed è questo che ogni volta mi ha fermata dal fare la valigia e tornare a casa. L’Italia mi fa un po’ paura. Mi fa paura l’idea di tornare e dopo aver lavorato così tanto e aver fatto tante rinunce per fare la ricercatrice, dover buttare al vento tutto e non poter sfruttare tutto quello che ho imparato fino ad oggi. Mi fa paura la poca apertura mentale che troverei e le poche possibilità che vengono date ai giovani….. anche se oramai non mi posso neppure più ritenere così giovane!
6) Ovviamente tutti noi odiamo lo stereotipo del “pizza, pasta, mafia, mandolino, Berlusconi” che sono le cinque parole che ci vengono rivolte più spesso quando siamo all’estero. Ma c’è un qualcosa con cui sei riuscita a far ricredere i tuoi concittadini di adesso sul nostro Paese? Che so, un libro, un film, un disco di un artista contemporaneo… qualcosa insomma che vada al di là dei soliti luoghi comuni sull’Italia?
Devo dire che purtroppo questi stereotipi ci sono e forse non cambieranno mai e sono sinceramente molto fastidiosi per me. Ti dirò di più: ne ho scoperti di nuovi! Sicuramente le persone che mi hanno conosciuto e con cui ho avuto modo di parlare e confrontarmi in questi anni, sanno bene che l’Italia non è solo stereotipi. Hanno conosciuto racconti di luoghi bellissimi, di un paese pieno di cultura, architettura, arte e musica.
8) Quando c’è un italiano famoso a New York, che atteggiamento ha l’emigrato per motivi di lavoro? Ti è mai capitato di trovarti faccia a faccia con un “personaggio pubblico” e dire “ciao, anch’io sono italiana!” o in generale hai evitato?
Devo dire che non mi è mai capitato. Mai con un italiano, ma se l’avessi incontrato probabilmente l’avrei osservato e ‘studiato’ in silenzio come faccio con tantissimi connazionali che ogni giorno incontro per la città e che sono ormai capace di riconoscere senza neppure sentirli parlare. Siamo così diversi dagli americani! Li osservo e cerco di capire se sono lì in vacanza, per lavoro ma di passaggio, o ci vivono come me. Non credo avrei detto niente, sono molto timida in questo.
9) Ti eri accorta che manca la domanda numero 7 🙂 ?
No!!! 🙂
10) Ultima cosa, per chiudere il cerchio, anche questa inevitabile: ora che sei diventata anche mamma negli States, il ritorno in Italia prima o poi “is not an option”? O sotto sotto non lo escludi?
Il ritorno in Italia? Bella domanda! Sinceramente è una possibilità che con mio marito abbiamo iniziato a valutare da qualche mese per molteplici ragioni. La principale è, come ho già detto, quella di poter dare una vita meno complicata a Tommaso! New York è una città davvero complicata con un bimbo. Inoltre, dopo così tanti anni lontani da casa abbiamo voglia di stare più vicini alle nostre Famiglie e poter trascorrere più tempo con loro. Quindi diciamo che la stiamo considerando e stiamo cercando di capire quali potrebbero essere le nostre possibilità lavorative se torniamo in Italia. Questo è il problema più grande quando si pensa di rientrare!