Queste le posizioni dei sindaci di Pratovecchio Stia e di Bibbiena
Nicolò Caleri: «Pochi giorni fa ho appreso dai giornali, come qualsiasi altro cittadino, l’esistenza di una direttiva regionale che obbliga i proprietari di immobili ad accatastare camini e stufe a biomasse, anche sino a 10 Kw. Dopo essermi rapidamente consultato con la mia maggioranza, ho immediatamente scritto per vie brevi al Presidente Giani e al Consigliere Ceccarelli, rappresentante del nostro territorio, per esprimere la contrarietà della nostra amministrazione a tale direttiva e per chiederne la revoca o la sostanziale modifica.
Questo per due ragioni.
In primo luogo la motivazione addotta nella pagina del sito regionale dedicata alla norma si riferisce esplicitamente ai problemi di inquinamento delle città. Da sindaco di un comune periferico delle aree interne ritengo purtroppo che la direttiva sia l’ennesima conferma che il legislatore, di qualsiasi livello sia, pensa le norme per le città e poi le estende alla aree interne, senza rendersi conto dei danni che così provoca. C’è un problema di inquinamento nelle città? Bene, avrà senso fare una norma per tutte le città dove le PM10 superano la soglia, ma non estenderla a luoghi dove le PM10 sono meno presenti dei cervi vicino alle case. Perché se bisogna fare di ogni erba un fascio, perché i problemi sono di tutti, allora rimborsateci gli affitti e la benzina per far studiare i nostri ragazzi in città. O siamo tutti uguali o non lo siamo, non è che si solidarizza il problema quando è dei cittadini (vedi il costo dell’acqua o le limitazioni per la qualità dell’aria, come in questo caso) e non lo si solidarizza quando è dei montanari (basti pensare all’assenza dei medici o del personale della scuola). Nelle aree interne i camini e i generatori a biomassa rappresentano una molteplicità di valori e di necessità legate al territorio: supportano gli impianti a metano o addirittura li sostituiscono, visto che in certe zone tutt’oggi non c’è metanizzazione, per affrontare i rigidi inverni anche in frazioni a 900 o 1000 metri; individuano una forma di economia per il territorio, visto che le nostre foreste rappresentano una ricchezza non soltanto per le loro capacità di assorbire CO2 ma anche per il loro utilizzo ben pianificato dagli enti competenti, tanto che la stessa regione in passato ha finanziato impianti a biomassa per diminuire la dipendenza dal gas e supportare le filiere corte locali; rappresentano un valore fondante dell’abitare in montagna, dove il ritrovarsi davanti al fuoco assume connotazioni importanti e profonde rispetto a una scelta di vita spesso non semplice nella sua quotidianità. Obbligare gli abitanti di montagna a un censimento di questo tipo rischia di passare un messaggio sbagliato sull’uso delle biomasse: anche volendo sgomberare la mente dall’ipotesi che alla semplice schedatura di camini e stufe segua una tassazione (non vogliamo neanche immaginarlo), si rischia di criminalizzare un metodo di riscaldamento che forse in città rappresenta il lusso di qualcuno, ma che nei nostri territori è parte integrante del nostro vivere e motore di sviluppo di territori in forte crisi economica e demografica.
In secondo luogo la procedura prevista lascia presupporre che il legislatore abbia poco presente la composizione della popolazione di territori come il nostro, dove la popolazione maggioritaria è anziana e spesso non in grado di utilizzare strumenti informatici. Sempre nel sito regionale è previsto l’accatastamento con “una procedura molto semplice che potrà essere svolta direttamente da tutti i cittadini, senza bisogno di conoscenze tecniche. E’ sufficiente collegarsi, attraverso le proprie credenziali SPID”. Ora davvero si pensa che lo spid sia così diffuso e che così tante persone lo sappiano utilizzare? Proprio in questi giorni abbiamo ricevuto i materiali dalla regione per attivare nel nostro comune un centro di facilitazione digitale: se lo si fa evidentemente è noto che l’adozione degli strumenti digitali non è così generalizzato, altrimenti non si spenderebbero questi soldi. L’alternativa prevista dal sito della regione è che ci si rechi, previo contatto telefonico, negli uffici presso la sede ARRR presenti in ogni comune capoluogo: nel nostro caso Arezzo, a 1 ora di macchina. Davvero questo significa mettere i cittadini nella condizione di adempiere facilmente?
Conoscendo e apprezzando da molto tempo l’attenzione ai territori montani sia del presidente Giani che del consigliere Ceccarelli, che spesso io in prima persona ho ringraziato per i tanti interventi a supporto dei nostri comuni, confidiamo che si faranno interpreti di questa nostra segnalazione per valutare un’ipotesi di modifica della direttiva, al fine di evitare perlomeno ai territori delle aree interne un aggravio del tutto inutile.
Il Sindaco di Bibbiena, come alcuni colleghi, prende posizione sulla direttiva regionale che obbliga i proprietari di immobili ad accatastare camini e stufe a biomasse, anche sino a 10 Kw.»
Filippo Vagnoli: «Invierò a breve una nota al Presidente della Regione Toscana e ai nostri rappresentanti in Consiglio regionale come hanno fatto altri colleghi per dire il mio fermo “no” e quello dell’amministrazione che rappresento, a questa direttiva chiedendone l’immediata revoca. Le ragioni che porto, in sostanza, sono legate alle caratteristiche del nostro territorio che ha una sua specificità e un suo equilibrio. Ancora una volta mi duole notare che, coloro che scrivono le norme, guardano solo una parte della realtà, privando l’altra di dignità. Le piccole aree interne vengono parificate alle grandi città per quanto riguarda l’inquinamento ma quando si tratta di servizi tutto il costrutto cade. Trovo che questa norma si fondi su un paradosso e insieme sia assolutamente contraddittoria rispetto a altre situazioni. Nelle nostre aree i camini e i generatori a biomassa rappresentano molto più di quello che sono ovvero supportano gli impianti a metano o addirittura li sostituiscono, visto che in certe zone ad oggi non c’è metanizzazione. Inoltre rappresentano una forma di economia per il territorio che non possiamo non sostenere nei giusti modi e sempre rispettando la legge e ovviamente l’equilibrio tra uomo e Natura. Obbligare gli abitanti delle nostre aree montane a un censimento di siffatta natura, oltre che a provocare un allarme, spero ingiustificato, a riguardo di possibili tassazioni, significherebbe passare il messaggio che questo metodo di riscaldamento sia quasi un atto banditesco. Per i nostri cittadini riscaldarsi in inverno con stufe e caminetti fa parte della tradizione oltre che di una micro economia importante che vive da secoli in equilibrio perfetto con la natura. Sono certo che i nostri amministratori regionali sapranno ben accogliere i nostri appelli e muoversi di conseguenza rispettando le specificità di territori come quello del Casentino».