di Christian Bigiarini (nella foto, Stefano Vagnoli)
Stefano Vagnoli, classe 1986, vive in Belgio da alcuni anni, ma le sue origini sono assolutamente casentinesi: Ponte a Poppi, infatti, è il paese dove ha la famiglia e gli affetti più cari. Siamo riusciti a contattare Stefano per email e a lui abbiamo rivolto alcune domande per avere la testimonianza diretta di una persona che ha vissuto da vicino i terribili momenti del duplice attentato di Bruxelles.
Stefano, da quanto vivi in Belgio e di cosa ti occupi?
Sono arrivato in Belgio circa 4 anni fa per lavorare come ingegnere in un centro di ricerca, mi occupo principalmente di energia e turbine a gas.
Dove eri al momento del duplice attentato terroristico?
Ero in macchina e stavo guidando verso l’ufficio, che si trova nella periferia sud di Bruxelles. Verso le 8.15 ho acceso la radio, che trasmetteva un’edizione straordinaria delle informazioni. A quel punto si parlava di due esplosioni all’aeroporto di Zaventem di cui non si conosceva la causa, anche se in realtà tutti abbiamo capito subito di cosa si trattasse.
La prima reazione dopo gli attentati è stata sicuramente di timore verso tutti gli amici e conoscenti che lavorano a Bruxelles. Ovviamente per la nostra condizione ci rechiamo spessissimo all’aeroporto di Zaventem, sia per ragioni lavorative che per rientrare poi verso i rispettivi paesi di origine (soprattutto in periodi di vacanze come questo).
Immaginiamo che il momento, per tutti i belgi, sia molto difficile. Puoi raccontarci che atmosfera si respira attualmente nel paese?
Anche se visto dall’Italia può sembrare strano, fino al 22 marzo la situazione era nella norma, nonostante vi fossero alcuni militari in giro per strada. La sera i locali e i posti di ritrovo erano pieni di gente come sempre, e sinceramente non si sentiva l’atmosfera di “assedio” di cui si parlava spesso a sproposito nei giornali Italiani.
A due giorni dall’attentato del 22 marzo invece l’atmosfera è cambiata, come è ovvio che sia. Ad oggi non usciamo più fuori la sera, e preferiamo ritrovarci in casa. Evitiamo i supermercati e andiamo a fare la spesa in altre città, e ovviamente in molti siamo stati costretti ad annullare i rientri di pasqua, visto che gran parte dei nostri voli sarebbero dovuti partire dall’aeroporto di Zaventem. Accanto a ciò, si percepisce una sensazione di “rabbia” nelle persone, dovuta al fatto che questi accadimenti hanno influito sulle nostre abitudini ed hanno cambiato faccia ad una città altrimenti piena di vita.
Le notizie che arrivano in Italia sugli attentatori ci parlano di persone che, in realtà, erano già segnalate come criminali. Addirittura uno di essi (Ibrahim Bakraoui) era stato segnalato dalle autorità turche come foreign fighter. La cosa è abbastanza sconcertante, avete ancora fiducia nelle forze dell’ordine e nei servizi di intelligence del Belgio?
Il problema a Bruxelles, così come a Charleroi, Liege e in altre città del Belgio, è che la situazione creatasi è il frutto di un lassismo politico che si protrae da decenni. Nonostante in gran parte della città vi sia una perfetta integrazione tra gente di culture diverse, alcune aree più povere sono state trasformate in veri e propri “ghetti”, in cui gran parte della popolazione non ha un lavoro e nessuna politica di integrazione è stata mai messa in campo. In queste zone povere ed abbandonate a se stesse il salafismo ha ovviamente trovato terreno fertile e si è diffuso rapidamente.
Purtroppo il radicalizzarsi del fondamentalismo in alcune aree era noto da tanto tempo, sia dai Bruxellesi che dalle autorità belghe, che però non sono mai intervenute.
Il sentimento generale percepito tra le persone e sui media verso le attuale politiche di governo è invece in generale positivo: vi è la consapevolezza che non è possibile eradicare in pochi mesi una situazione che è chiaramente sfuggita di mano a causa di diversi decenni di lassismo. La maggior parte delle persone però apprezza l’aumento dei controlli e degli interventi di polizia eseguiti da novembre ad oggi, nonché il mantenimento della politica di accoglienza dei rifugiati, che non sono in alcun modo legati ad un fondamentalismo che si è invece formato “in casa”, tra Bruxellesi.
Tu, per il lavoro che svolgi, hai fatto una scelta di vita. Nonostante quello che sta accadendo, sei contento della tua nuova vita? E consiglieresti ad un giovane casentinese di seguire i tuoi passi e fare esperienze lavorative all’estero?
Come dicevo, vivo a Bruxelles già da tempo e questa città mi ha dato sicuramente molto più di quello che mi sarei mai aspettato. Bruxelles è molto viva, ed in città si respira un’atmosfera molto particolare che spero ritorni al più presto dopo gli accadimenti degli ultimi giorni. Ad oggi sono felicissimo di vivere qui e la sento veramente come casa mia. Per ragioni professionali, so che non rimarrò a Bruxelles per il resto della mia vita, ma so già che quando arriverà il momento di cambiare, questa città mi mancherà molto.
Per quanto riguarda i consigli, credo che l’importante sia essere realisti. La scelta di fare o meno un’esperienza all’estero dipende molto dall’attitudine delle persone: ho conosciuto molti ragazzi che una volta arrivati qua si sono resi conto che il loro posto era nei luoghi in cui sono nati e cresciuti. Trovo questa una cosa davvero molto bella, ma se l’esperienza lontano da casa deve essere vissuta come un grande sacrificio, probabilmente non ne vale la pena. Per il resto, se una persona ha voglia di fare un’esperienza lavorativa di lunga durata all’estero, questa è sicuramente un arricchimento professionale e personale notevole, e Bruxelles è il posto ideale. L’importante è mettersi in testa che qua niente è regalato: la città è estremamente cara, e c’è molta competizione tra persone con ottimi curriculum che cercano lavoro. Per queste ragioni, è meglio evitare di venire senza niente in mano e con l’idea di cercare qualcosa una volta sul posto: in tal caso, ci sono altissime probabilità di fallimento.
Ringraziamo Stefano per la sua disponibilità e per la preziosa e interessante testimonianza. Un racconto che ci ha fatto conoscere il punto di vista di chi ha vissuto, e vive da vicino, il problemi del Belgio legati al terrorismo islamista. Problemi che, purtroppo, riguardano anche tutti noi. A lui, i nostri migliori auguri per la sua professione e per la sua vita lontano dal Casentino.