“Benvenuti in Casentino”: un racconto di Alberto Marioni

0
993

Sotto il sole del dimenticatoio c’è una terra sperduta, nascosta tra la Toscana, l’Umbria e la Romagna, un ombroso antro che con difficoltà riesce ad alzare la voce e farsi vedere.

E’ il piccolo Casentino, la vallata che ci ha dato i natali e ci ha cresciuti tra il verde dei boschi e delle colline, e il grigio delle case e dei suoi abitanti.
Noi chi siamo? noi siamo stiani, pratovecchini , o se volete pratovecchiostiani, siamo stradini, poppesi, capibugi, sociani, e così via. C’è chi dice che “la nostra terra” arriva fino ad Arezzo, c’è chi pone il confine col resto del mondo a Bibbiena, e in fondo la questione non ci tocca, perché è casentinese chi si sente di esserlo, ovunque egli sia nato, ovunque ora sia.
Siamo pochi, sulle nostre panchine è raro trovare giovani coppie che si stringono le mani, molto più facile vedere anziani signori riposarsi dopo anni di lavoro, mentre guardano giocare i bambini sulle altalene.
E quei bambini chi saranno? Già iniziamo a vederli partire per il campo con delle borse più grandi di loro sulle spalle, cadranno in campi pieni di buche e di mota ma col sorriso sulle labbra, cresceranno e vedranno quanto questo spazio a loro disposizione sia stretto, e vorranno evadere.
“Quando avrò 18 anni e la macchina me ne andrò finalmente da qui!” chi non l’ha detto? Qualcuno è stato di parola, e non è tornato, ma sono pochi.
Il Casentino è strano, lo disprezzi quando è tuo, lo rimpiangi quando non ce l’hai. Un po’ come tutto il resto, ma a modo suo.
Noi siamo ovunque, non possiamo liberarci delle nostre origini, delle nostre radici, perché anche se ci proviamo, restano dentro e fuori di noi.
Che tu vada a Firenze, che tu vada ad Arezzo, troverai sempre qualcuno di noi! Anche in Australia ormai, in una lontanissima camera da letto, c’è un quadro del castello di Poppi, o della piazza Tarlati di Bibbiena. Ovunque tu sia, vi troverai sempre un casentinese: una legge che presto sarà nei libri di fisica.
Ma insomma, in che cosa ci distinguiamo da tutti gli altri?
Ognuno è unico… ma noi di più.
Noi ci lamentiamo dalla mattina alla sera, è il nostro talento, non smetteremo mai di farlo.
Noi siamo quelli che sono stufi di trascorrere serate nei soliti posti, ma se apre un locale nuovo, noi non ci andiamo, per paura che non ci sia nessuno.
Eppure non vogliamo più incrociare sempre le stesse facce quando usciamo, però continuiamo a cercarle.
Noi siamo quelli che vanno a vedere i cervi alla Calla, e fanno i freni a mano sotto la neve, noi siamo quelli che, dopo una lunga nottata, si rifugiano nei bar tra una pasta e un cappuccino, perché ci piace dormire con lo stomaco pieno, forse per riempire i nostri vuoti, forse per veder sorgere l’alba di un nuovo giorno.
Noi siamo quelli delle mode: ognuno segue l’altro, anche in amore, qui non servono gli occhi per guardare, le orecchie per udire, semmai un archivio per essere sempre aggiornati su con chi è andato quello, con chi è stata quella.
Qui fioccano i pettegolezzi, ma nessuno ha bisogno di ascoltarli, perché qui tutti sanno tutto di tutti.
Tranne i cornuti.
Noi siamo quelli che si accusano a vicenda di mentalità chiusa, senza il tentativo di aprirla: i primi a scagliare la pietra sono sempre peccatori.
Noi ci abbracciamo, ci sorridiamo ma teniamo sempre pronto il pugnale dentro le nostre tasche.
Però, in quest’ ostilità, in questa diffidenza, non rinneghiamo mai il nostro sangue.
Perché nel nostro cuore, anche inconsapevolmente, anche inconsciamente, ci sarà sempre affetto per la nostra terra.
E dopo esserci allontanati, prima o poi ci incammineremo, o con il corpo, o con la mente, verso una strada lunga e cara all’anima, accompagnata dai cipressi, e, rivedendo finalmente Romena, penseremo:
“questa è casa mia.”
Ieri,
oggi,
e per sempre.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here