Codice d’onore

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Riccardo Casamassima si offre ad una piccola webcam: divisa da Carabiniere e forte accento meridionale.

Prende a parlare: “Io a questa divisa ci tengo”, sostiene, “me la sono sudata ed ho sempre lavorato. Adesso, per aver fatto il mio dovere, come uomo e come Carabiniere, per aver testimoniato in un processo in cui un giovane (Stefano Cucchi) è morto perché pestato dai miei colleghi, mi ritrovo a subire un sacco di conseguenze: tutte negative”. “Prima di andare a testimoniare avevo manifestato la mia paura: le mie paure si sono concretizzate”. Poi legge la sua ultima valutazione caratteristica: “Carabiniere poco esemplare, inadeguato al senso della disciplina, rendimento appena sufficiente”.

Se non fosse per la divisa, il contesto, le riprese di fortuna ed il fatto ovvio che Riccardo Casamassima, parlando, denuncia la sua esistenza in vita, si potrebbe confondere con William T. Santiago: il marine cadavere che anima Codice d’Onore (“A Few Good Men”). Nel film, William T. Santiago, non si vede mai: si suppone perché, in un dramma giudiziario, il cadavere viene oggettivato. Il superiore di Santiago, che nella pellicola finirà alla sbarra, regge la base di Guantanamo a Cuba: ma non risulta fra gl’imputati del processo. Imputati nella corte marziale sono due oscuri marines, il vice-caporale Dawson e il soldato scelto Downey: presunti omicidi di Santiago.

Nella scena madre, a due passi dalla rovina, il Colonnello Nathan Jessep, comandante di Guantanamo, finisce per scagionare gl’imputati ed autoaccusarsi. L’avvocato lo incalza: “è stato Lei ad ordinare un codice rosso?”. Nell’economia del film, un “codice rosso” sarebbe l’extrema ratio da provvedere ai militari inadeguati, colpevoli di mettere a repentaglio la “sanità” del corpo dei Marines. Un ordine, chiaramente, tanto illegale (persino per il Codice Militare) quanto coperto dall’omertà. Il Colonnello Jessep, in uno scatto d’orgoglio, finisce per confessare: “certo che l’ho ordinato, che cazzo credi?”.

Mentire, falsificare documenti, omettere fino ad abusare del potere per screditare e “congedare” un marine, nella logica di Jessep, assumono l’aspetto della conseguenza necessaria d’un’insostenibile verità: la stessa che Paolo Sorrentino mette fra le labbra di Andreotti che si rivolge alla moglie nel Divo: con attori e letteratura in tono minore. Meglio, dunque, l’originale della copia ed allora sentiamola.
Sostiene Jessep, alla volta del Pubblico Ministero: “Viviamo in un mondo pieno di muri e quei muri devono essere sorvegliati da uomini col fucile. Voi mi volete su quel muro: io vi servo in cima a quel muro. Noi usiamo parole come codice, onore, fedeltà. Usiamo queste parole come spina dorsale d’una vita spesa per difendere qualcosa. Io non ho il tempo, né la voglia, di spiegare me stesso ad un uomo che passa la vita a dormire sotto la coperta di quella libertà che io gli fornisco: e poi contesta il modo in cui gliela fornisco. Preferirei mi dicesse la ringrazio e se n’andasse per la sua strada. Altrimenti le suggerirei di prendere un fucile e di mettersi di sentinella. In un modo o nell’altro, io me ne sbatto altamente di quello che lei ritiene siano i suoi diritti”. Punto.

A questo punto dello spettacolo, di solito, il pubblico si divide proiettando sé stesso ed un buon cineasta, ottenuto l’effetto, si ferma qui. Le umane vicende, però, meritano di più ed il confine lo segna l’Onore di Riccardo Casamassima che legge la sua valutazione caratteristica.

Per l’appuntato Casamassima è stato un dovere quello di denunciare un crimine e di farlo attraverso il ricorso gerarchico: prima della deposizione, l’appuntato aveva consegnato al proprio superiore una nota circostanziata che, quest’ultimo, ha pensato bene di far sparire. Questa tendenza ad omettere, falsificare, deviare non è connaturata all’Arma. Lo stesso caso Cucchi, quanto l’esperienza comune di ognuno, dimostra come questa consuetudine radicata ammorbi la politica, la medicina, la magistratura, l’iniziativa privata quanto la letteratura e più oltre. È come se la verità ed il dire la verità fosse, per ciò stesso, un demerito. Di più: uno scandalo.

Non a caso, prima di sostenere la sua verità, il Colonnello Jessep palma chi lo incalza d’un insolito stato di minorità: “tu non puoi reggere la verità!”. Guarda caso lo stesso file rouge che lega il monologo del Divo alla moglie; lo stesso che dà l’avvio ad Eyes Wide Shut: “ se solo tu sapessi”. Il civile, la moglie, il marito: tutti minorati mentali. Ebbene, no!

L’Arma dei Carabinieri non è un “male necessario” ma un bene ed il senso dell’Onore per una divisa, che non ho mai pensato d’indossare, non per questo mi sfugge: homo sum! Eppure era sempre l’Onore il movente che reggeva l’arma rivolta contro la moglie fedifraga e che oggi condanna persino uno schiaffo: giusto così, per carità. Ma cosa n’è stato dell’Onore, allora?

È migrato da un comportamento ad un altro. La vergogna ed il disprezzo, che torturavano il cornuto fino al delitto, adesso affliggono il coniuge che, risentito, si lascia andare a due sberle. Badate bene: non è la Legge o la morale ad agire; è la struttura Etica che regge il soggetto a provvedere: è l’Onore. Il venir meno di consuetudini radicate non procede dal castigo morale o dalla pena ma è, piuttosto, un rivolgimento dei “codici d’Onore”. Comportamenti, un tempo associati al “riconoscimento” ed alla “stima”, vengono giudicati, in seguito, “disonorevoli”. Questi passaggi riguardano l’apparire d’una nuova concezione di Onore: non di un suo semplice abbandono!

È chiedere troppo, all’Arma, di difendere il proprio Onore in onestà? Visto, soprattutto, che un civile non è così sconsiderato da non capire che ci sono Uomini ed uomini: Carabinieri ed altri carabinieri. Non per caso, l’Umanità ha condannato Adolf Hitler pur annoverandolo. Sarebbe l’ora che chi presenzia l’Arma, a cominciare dai Ministri, prendesse a comportarsi di conseguenza. Chi massacra di botte 27 kili di uomo che la Legge gli ha affidato, inerte ed immobilizzato, non è degno dell’Arma: …
sarebbe bello cominciare così.

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