La vita del partigiano “Blanchard” finì con una sventagliata di mitra a Saint-Didier-de-Formans, un tiepido Giugno del 1944. Ad un’intelligenza viva, nella dimensione ulteriore alla gioventù, non sfuggono le conseguenze del proprio agire: da qui l’elezione di “Blanchard”, quale nome di battaglia.
Georges Maurice Jean Blanchard, per chi non lo ricorda, fu il generale Francese che si arrese ai Nazisti sulle Ardenne, finendo per collaborare con la Francia di Vichy: naturalmente, il partigiano “Blanchard” è stato qualcun altro. Il partigiano “Blanchard”, per chi ama la successione dei fatti, è stato il più grande storico di sempre: acuto, intelligente. Un uomo, il cui epitaffio è stata l’esecuzione di Blanchard sotto il fuoco di una machinepistole di fabbricazione tedesca: ciò che, appunto, il vero Blanchard aveva cautamente evitato il 30 maggio del 1940.
Capita a tutti la debolezza di voler riscrivere la storia ma, se la storia è il tuo mestiere, finisci per rappresentare una sciarada per l’altrui genio: senza intaccare il fatto ovvio che Georges Maurice Jean Blanchard è morto sul suo letto nel 1954. Il 16 Giugno del 1944, a Saint-Didier-de-Formans, è trapassato il partigiano “Blanchard”: al secolo Marc Bloch.
Se l’epifania di Marc Bloch, costruita con tanta perizia, non ha sortito l’effetto desiderato dal narratore, fidatevi che è colpa vostra: smettete di leggere ed impegnatevi in qualcos’altro. Così, magari, mi eviterete il supplizio di spiegarvi chi fu Marc Bloch. Se, a vostro esclusivo periglio, avete deciso di procedere nella lettura, chiedetevi, piuttosto, perché si debba scomodare dal sepolcro Marc Bloch: in un tiepido Settembre del 2019.
Marc Bloch è stato, senza ombra di dubbio, un pilastro della “scienza” storica; “scienza” intesa come territorio comune delle credenze: quanto la Scienza, più della filosofia e come il diritto. Se potete, dunque, non cadete nel tranello di chi spaccia la scienza per tecnologia: non è così. Non cedete alla lusinga di piegare i fatti alla mitografia: chè oggi vi ritrovate senza opinione e domani senza diritti. Immaginate se, domani, sulla cattedra d’un tribunale sparisse che “la Legge è uguale per tutti” per far posto all’assunto che “non ci sono fatti ma solo interpretazioni”. Orrore!
Se pensate che tutto questo sia remoto, vi sbagliate di grosso. Il 19 settembre del 2019, gli stessi che provvedono il diritto Comunitario, hanno approvato una Risoluzione “sull’importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa”. Con 535 voti favorevoli, 66 contrari e 55 astenuti, il Parlamento Europeo ha sentenziato che il patto Molotov-Ribbentrop “ha spianato la strada allo scoppio della Seconda guerra mondiale” e che, in buona sostanza, l’ideologia nazi-fascista e comunista tanto si equivalgono quanto sono deprecabili. Segue l’anatema contro “le manifestazioni e la diffusione di ideologie totalitarie, come il nazismo e lo stalinismo, all’interno dell’Unione” e l’apologia del liber-liberismo.
Voto favorevole dei post-comunisti (PD) nostrani.
Detto tutto il male possibile del nazi-fascismo, è fin troppo evidente l’obiettivo politico della Risoluzione: equiparare il comunismo al nazi-fascismo per avviarne la criminalizzazione giuridica. Una Risoluzione, dopotutto, è un atto legale ma la Risoluzione B9-0097/2019, seppur legale, non ha nessuna legittimità storica: alla faccia della memoria!
Veniamo ai fatti e dopo tratteremo di memoria.
In primo luogo, il trattato Molotov-Ribbentrop (abiurato postumo dallo stesso Stalin e chiosato come un “errore”) non nasce dalla comunanza d’intenti ma dall’isolamento politico dell’Unione Sovietica (quello che nel dopoguerra si chiamerà “cortina di ferro”): isolamento voluto dagli Anglo-Francesi che rifiutarono un’intesa contro la minaccia nazista. L’obiettivo dichiarato di Hitler è sempre stato l’est bolscevico, per cui si pensò bene che questi s’andasse a sfogar lì. La natura del patto Molotov-Ribbentrop consentì all’URSS di “mettere le labbra” sui denti tedeschi. In poche parole, data per scontata l’invasione polacca e l’annessione scandinava, Stalin si preoccupò di spostare il confine il più ad ovest possibile: vale a dire sui confini del 1914, quelli anteriori al trattato di Brest-Litovsk.
In secondo luogo, è bene ricordarlo, dal 1941 gli anglo-americani si allearono con l’URSS (il trattato Molotov-Ribbentrop stabiliva il rispetto di determinati confini e non l’alleanza) supportandone lo sforzo bellico su tre direttrici: il porto di Murmansk, quello di Vladivostok e il c.d. “corridoio persiano”. Quest’ultimo, largamente il più efficace, fu reso possibile dalla comune invasione della neutrale Persia. Stalin, da nord, e Churchill, da sud, si ritrovarono a spartirsi la Persia per contingenze belliche: con buona pace degl’immemori europei del 2019 e come Hitler e Stalin con la Polonia. Poi, finite le ostilità, continuarono allegramente la reciproca inimicizia: precipitando, per altro, la Persia in convulsioni politiche risoltesi negli ayatollah.
In terzo luogo, la liberazione dell’Europa dal giogo nazista non si sarebbe mai realizzata senza la lotta partigiana. Molti di quegli uomini, Bloch escluso, erano sinceramente comunisti. Uomini che hanno ricevuto encomi ed onorificenze ufficiali in tutti gli stati europei, che hanno contribuito a liberare. Molti resistenti comunisti hanno sostenuto la rinascita democratica dei reciproci paesi: alcuni ne hanno scritto i dettami Costituzionali!
Il novero dei fatti potrebbe procedere ma, per economia letteraria, è meglio fermarsi qui: ho lasciato Marc Bloch in ghiacciaia!
Il professor Bloch, deceduto da eroe durante la seconda guerra mondiale, partecipò eroicamente al primo gran conflitto. Nell’Agosto del 1921 trasse le conclusioni della sua esperienza in un agile articolo pubblicato da una rivista specialistica: Riflessioni d’uno Storico sulle False Notizie della Guerra. L’approccio di Bloch alle c.d. fake news è, allo stesso tempo, folgorante e spiazzante. Dopo aver premesso che “la maggior parte degli uomini gira ad occhi socchiusi, per un mondo che rifuggono dal guardare”, il buon professore conclude il trattatello esortando i pretesi testimoni alla scrittura; facciamo finta che il Parlamento Europeo abbia accettato il consiglio: in effetti l’hanno fatto!
La Risoluzione B9-0097/2019, è facile capirlo, non illumina il 1939 né, a mio avviso, nessun fatto storico che abbia attraversato l’Europa da allora fino ad oggi. Eppure, oggi, la Risoluzione B9-0097 è già un documento storico, utilissimo alla ricostruzione che seguirà questo presente.
Subito si capisce che, a dispetto dei vaticini di Derida, questo non è il secolo della scrittura; o, quantomeno, i 535 firmatari del documento dimostrano di non aver mai letto un libro: in questo senso, rappresentandoci egregiamente. Sosteneva Bloch, a ragione, che solo il prodigioso rinnovarsi della tradizione orale (cento anni fa, la censura di guerra, oggi il tam-tam dei social media) consente la mitografia. Il resto, quando non ci pensa direttamente un bugiardo, lo realizza il panico. “Un avvenimento, una percezione distorta per esempio, la quale non andasse nel senso in cui già propendono gli spiriti di tutti, tutt’al più potrebbe costituire l’origine d’un errore individuale, ma non una falsa notizia (…) la falsa notizia è lo specchio in cui «la coscienza collettiva» contempla le sue fattezze”. Evidentemente, lo spettro che innalzò Berlusconi al Viminale tira ancora: benché non se ne veda in giro uno, il “comunista” porta sempre buoni voti ai partiti popolari.
Ma è la volontà di cancellare piazza “Gramsci”, di cestinare l’opera di Guttuso o di rimuovere i cartelli che facevano di Riace la “città dell’accoglienza” che illumina il presente; se è vero, com’è vero, che: “degli uomini animati da una collera cieca e brutale, ma sincera, avevano incendiato e fucilato; ormai era per loro essenziale tener salda una credenza assolutamente inossidabile nell’esistenza di “atrocità”, le quali soltanto potevano dare al loro furore una apparenza equanime; e permesso supporre che la maggior parte fra loro avrebbero sussultato per l’orrore se avessero dovuto riconoscere l’assurdità profonda dei terrori panici, che li avevano spinti a commettere tante azioni raccapriccianti; ma mai costoro riconobbero nulla di simile. (…) Facilmente si crede ciò che si ha il bisogno di credere. Una leggenda che ha ispirato atti clamorosi e soprattutto azioni crudeli, è vicinissima a essere indistruttibile”.
Speriamo solo che i “principi universali dei diritti umani”, invocati quali premessa alla Risoluzione, non finiscano per spiaggiarsi in qualche anfratto dell’Anatolia o si perdano in qualche “campo” d’accoglienza libico o, peggio, che si presentino all’uscio di casa:
ripescati in mare da qualche “ricca e viziata comunista”.