Gesù nel Getsemani: il soggetto è narrato nei libri del Nuovo Testamento, da Matteo e Luca. Cristo, dopo l’Ultima Cena, conoscendo il tradimento di Giuda, andò nell’orto degli ulivi/Getsemani, accompagnato da tre dei suoi discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni. Lì pregò Dio nella sua sofferenza; un angelo gli diede la forza, mentre i tre discepoli dormivano. L’episodio trova molte suggestive raffigurazioni artistiche: in Casentino presso la cappella dell’infermeria del monastero di Camaldoli, si conserva una tavola realizzata da Giorgio Vasari (Arezzo 1511 – Firenze 1574) ormai sessantenne (in questo 2024 ricorre pertanto il 450 anniversario della morte). Il rapporto che l’artista ebbe con i camaldolesi iniziò nel 1537 quando i monaci decisero di rinnovare la chiesa commissionandogli alcune opere d’arte e si concluse nel 1571 con la tavola citata. I documenti conservati presso l’Archivio del monastero ricordano la data della committenza e la richiesta economica dell’artista che proprio in quello stesso anno realizzò un’opera identica su commissione del vicerè di Napoli Don Pedro Alvarez de Toledo, padre della duchessa Eleonora, consorte di Cosimo I de’ Medici, primo Granduca di Toscana, per farne dono a Filippo II, re di Spagna. Le due tavole “gemelle” furono realizzate nella bottega di Vasari a Firenze ed ebbero sorti completamente diverse. Una trovò la sua collocazione presso la clausura del monastero camaldolese e lì è rimasta fino al 2011 quando in occasione del cinquecentesimo anniversario della nascita di Vasari venne esposta, per la prima volta al pubblico, su indicazione della scrivente che con il Direttore del Museo di Tokyo, organizzò una conferenza a Camaldoli, nelle sale del Museo Dioscesano di Arezzo, l’altra dopo essere passata da antiquari e collezionisti di mezzo mondo è dal 1979 conservata presso il National Museum of Western Art di Tokyo. Due storie completamente diverse per due opere quasi identiche: infatti l’unica differenza riguarda il colore del mantello di Cristo e di San Pietro, l’apostolo raffigurato in primo piano a sinistra; mentre per i monaci camaldolesi Vasari utilizzò il colore bianco, forse più consono alla veste dell’ordine religioso, per l’opera destinata al Re di Spagna, venne scelto l’azzurro di lapislazzulo, pigmento prezioso più dell’oro che arrivava dall’Oriente e in particolare dall’Afghanistan, a Venezia. A tal proposito risultano di grande interesse alcune lettere che in quegli anni Vasari riceveva da Cosimo Bartoli (al servizio dei Medici a Venezia) nelle quali scriveva di aver inviato al pittore pennelli, azzurri oltremarini e occhiali. Una curiosità riguarda la richiesta economica che Vasari fece ai suoi committenti che pagarono per le due tavole, lo stesso prezzo! La scena ambientata in notturno si sviluppa verticalmente e presenta i tre apostoli dormienti in primo piano mentre trova il suo punto focale nella figura di Cristo inginocchiato, di profilo, con le braccia aperte in segno di accettazione del proprio destino che sta per compiersi. Delineandone le fattezze di profilo, il pittore coglie più l’aspetto interiore che quello esteriore giocato sull’espressione del volto sofferente di Gesù, e riesce pertanto a renderci un’immagine in cui il dramma è tutto interiore. La difficoltà di rendere in pittura questo momento di sofferenza umana del Salvatore, è testimoniato da alcuni disegni preparatori nei quali Vasari ha studiato varie posizioni delle braccia di Gesù prima di giungere alla scelta definitiva. Sulla sinistra sono raffigurati i soldati che con Giuda stanno arrivando per arrestare Cristo. L’attesa della cattura da parte dei romani al seguito di Giuda, giunti a notte fonda per arrestarlo, è ambientata di notte e trova più fonti luminose: quelle naturali come la presenza delle torce dei soldati che emergono dall’oscurità e la luna piena, mentre la fonte di luce divina emana dall’angelo che reca il calice che simboleggia l’Eucarestia che Cristo ha istituito durante l’Ultima Cena. Opere straordinarie eseguite, in stile manierista, da Vasari a pochi anni dalla morte quando la sua posizione era ormai legata a grande fama, posizione che può essere riassunta in questo discorso che egli fece ai suoi ex colleghi e insegnanti:” Una volta ero povero come tutti voi, ma ora ho tremila scudi o più. Tu mi consideravi goffo (come pittore) ma i frati e i preti mi considerano un abile maestro. Una volta ti ho servito e ora ho il mio servitore che si prende cura del mio cavallo. Indossavo quegli stracci indossati dai poveri pittori e ora sono vestito di velluto. Prima camminavo e ora vado a cavallo”.