Domenico di Guzmán (Caleruega,1170 – Bologna, 6 agosto 1221) è stato il fondatore dell’Ordine dei frati predicatori, riconosciuto ufficialmente nel 1216 da papa Onorio III. Canonizzato il 13 luglio del 1234, il santo di origini spagnole, viene celebrato l’8 agosto; tuttavia laddove egli sia il patrono del luogo, la ricorrenza della festa è datata 4 agosto. Secondo la tradizione, nel 1212 Domenico, durante la sua permanenza a Tolosa, ebbe la visione della Vergine Maria che gli consegnò la corona del rosario, dopo la richiesta del santo di uno strumento per la preghiera atta a combattere le eresie. Dante nel Paradiso lo ricorda come figura basilare nella storia della Chiesa Cattolica: nel canto XII il poeta affida a san Bonaventura da Bagnoregio il compito di farne l’elogio. Il suo corpo, dal 5 giugno 1267, è custodito in una preziosa arca marmorea, presso l’omonima basilica di Bologna. L’iconografia tradizionale ce lo presenta in atto di ricevere la corona del rosario dalla Vergine spesso accompagnato anche da Santa Caterina da Siena, oppure con accanto un cane (il cane bianco e nero è diventato una specie di “simbolo” dell’Ordine domenicano). Tutto nasce da una visione che ebbe la madre di san Domenico, la Beata Giovanna d’Aza, prima che lui nascesse: la madre sognò che un cane usciva dal suo ventre con una torcia accesa nella bocca. Quando si svegliò interpretò quel sogno come un messaggio che Dio voleva darle e così decise di andare in pellegrinaggio al monastero di San Domenico di Silos per chiedere l’intercessione del santo. Per ringraziare San Domenico, la donna decise di dare al figlio lo stesso nome del santo; il figlio avrebbe acceso un fuoco nel mondo per mezzo della sua predicazione. Giocando sulla assonanza delle parole, i Domenicani, sono stati definiti “cani del Signore“ (Domini canes), difensori fedeli della dottrina della Chiesa contro gli errori delle eresie. S. Domenico viene raffigurato anche con l’attributo di una stella; secondo la tradizione, la madrina che lo tenne a battesimo vide una stella risplendere meravigliosamente sulla fronte del battezzato ma si tramanda anche che la mamma lo vide come se avesse il chiarore della luna in fronte: “Lumen Ecclesiae “(luce della Chiesa) viene invocato nella liturgia il Santo e la stella diverrà uno degli elementi simbolici più diffusi dell’Ordine Domenicano da lui fondato. Conservato presso il nuovo monastero delle domenicane a Pratovecchio si trova un dipinto che raffigura il santo a mezzo busto, opera attribuita dalla Bencistà a Francesco Curradi (Firenze, 1570-1661). Questo piccolo ritratto ideale di San Domenico, proveniente dal monastero di Querceto del Maglio, ancora inserito nella sua cornice originale in legno intagliato e dorato, risolto con poche ma sicure pennellate e calibrati tocchi di colore, presenta il santo con lo sguardo rivolto a destra; la figura emerge dal fondo scuro appena rischiarata dall’alone di luce dell’aureola decorata dalla stellina rosso acceso; il volto illuminato per metà, richiama le fisionomie ricorrenti nel Curradi memore di precedenti illustri del Cigoli. Lo stile del pittore che lascia in Casentino altre opere, è riconoscibile sia per i colori lividi dell’incarnato, il tono mesto e assorto del santo, le tinte chiaroscurate caratteristiche inconfondibili del pittore che è da considerarsi fra i principali esponenti della scuola fiorentina della prima metà del Seicento. Nel corso della sua attività il Curradi passa da una fase giovanile, nella quale risente dell’educazione manieristica del suo maestro Giovan Battista Naldini, ad uno stile riformato e improntato ai principi del decoro, tipici della pittura fiorentina di primo Seicento ai quali rimase sostanzialmente fedele: il suo purismo devoto emerge chiaramente anche nella conduzione pittorica del dipinto del monastero di Pratovecchio.