Secondo il Nuovo Testamento, l’apparizione di Gesù sulla strada di Emmaus e la successiva Cena sono tra i primi episodi avvenuti dopo la sua Resurrezione. In un primo momento della cena, alla quale Gesù è stato invitato da Cleofa e da un altro viandante di cui non conosciamo l’identità, “i loro occhi erano ciechi” e pertanto non lo riconobbero, solo “allo spezzare del pane” (Lc 24,30), “i loro occhi si aprirono” e avvenne il riconoscimento (Luca 24,31). Nella scena della “Cena in Emmaus” i commensali sono tre: Gesù con vesti non tradizionali per non essere riconosciuto e due personaggi che siedono allo stesso tavolo; anche l’oste è presente ed esprime curiosità per quanto avviene. E’ il gesto di Cristo che spezza il pane, rievocando quanto accaduto nell’Ultima Cena che farà aprire gli occhi ai discepoli: si tratta di una teofania, una rivelazione della vera identità di Cristo risorto. Nella pittura murale che si trova nella parete di sinistra dell’Oratorio di San Francesco a Bibbiena al tavolo siede Gesù in atto di benedire il pane: indossa un mantello con tre conchiglie che simboleggiano un pellegrino; sulla sinistra Cleofa che riconosce Gesù dal gesto benedicente, meravigliato e stupefatto sobbalza sulla sedia che sta per far cadere a terra; l’altro personaggio è raffigurato in atto di preghiera con le mani giunte e con lo sguardo al cielo dove due figure di angioletti testimoniano l’avvenuta rivelazione. Sulla sinistra un’ apertura che dà sull’esterno permette di scorgere due figure femminili incuriosite da quanto accaduto; tutta la scena è svelata, come fosse una sacra rappresentazione teatrale, dal grande tendaggio violaceo che si apre sulla sinistra come un sipario. Sul tavolo coperto da una tovaglia candida che lo rende simile ad un altare, sono presenti elementi simbolici: il pane, un bicchiere di vino e in primo piano un vassoio con un fagiano o una quaglia. L’identificazione è difficile tuttavia entrambi gli animali rappresentano allegorie e simboli legati al Redentore: il fagiano allude al sorgere del sole e quindi alla resurrezione di Gesù e la quaglia riconduce ad un’antica leggenda nella quale si narra che nelle migrazioni questi uccelli scelgono una guida la quale si lancia contro i rapaci che attendono lo stormo, sacrificandosi affinché le altre quaglie possano giungere salve a destinazione; proprio allo stesso modo il Redentore guida degli uomini, ha offerto la propria vita in espiazione dei peccati per la salvezza dell’umanità. Tutte le pitture presenti nell’Oratorio evocano la celebrazione dell’Eucarestia con uno stile che rimanda al rococò toscano e sono realizzate dal pittore fiorentino Giuseppe Parenti che si muove nell’ambito artistico del Ferretti. L’artista che fu allievo a Roma di Sebastiano Conca e poi a Firenze di Vincenzo Meucci, appare nel 1758 tra i novizi dell’Accademia del Disegno proposto proprio dal Meucci; l’ultima citazione come squittinato risale al 1777. Fu membro attivo della Compagnia di San Filippo Benizi e il suo nome compare frequentemente tra quelli dei partecipanti all’annuale pellegrinaggio a Monte Senario a partire dal 1745.
Dai documenti si evince che il pittore dette inizio al lavoro dell’Oratorio di San Francesco dopo il 1772, data che rimanda alle stuccature della navata realizzate da Rusca Giovanni Niccolò che subentrò al padre Francesco nella direzione dei lavori (gli stuccatori, come si evince dai documenti erano originari di Lugano); la pittura murale è stata realizzata all’interno di una specchiatura di color verde-acqua dal contorno mistilineo delimitata da cornice e stucchi dorati. La ricerca di ritmi dinamici interpretati in chiave raffinata con utilizzo di una tavolozza dai colori tenui e luminosi, la linea sinuosa, il disegno elegante e il tonalismo sottile, fanno sì che l’opera presenti un’atmosfera intimista e che il carattere religioso del soggetto raffigurato si stemperi in puro lirismo.