San Lorenzo (Valencia o Huesca, forse 31 dicembre 225 – Roma, 10 agosto 258) è stato uno dei sette diaconi di Roma, città nella quale venne martirizzato nel 258 durante la persecuzione voluta dall’imperatore romano Valeriano. La testimonianza di fede di questo santo martire, è scandita dalla pietà e dalla carità. Come responsabile delle attività caritative nella diocesi di Roma, San Lorenzo, custode dei tesori della Chiesa, amministrava beni e offerte per provvedere ai bisogni di poveri, orfani e vedove. Fin dai primi secoli del cristianesimo, Lorenzo viene generalmente raffigurato come un giovane diacono rivestito della dalmatica, con il ricorrente attributo della graticola o, in tempi più recenti, della borsa del tesoro della Chiesa romana da lui distribuito, secondo i testi agiografici, ai poveri. Il suo corpo è sepolto nella cripta della confessione di san Lorenzo insieme ai santi Stefano e Giustino. La notte di san Lorenzo (10 agosto) è tradizionalmente associata al fenomeno delle stelle cadenti, considerate evocative dei carboni ardenti su cui il santo fu martirizzato. In effetti, in quei giorni, la Terra attraversa lo sciame meteorico delle Perseidi e l’atmosfera è attraversata da un numero di piccole meteore molto più alto del normale. Tra le opere d’arte del Casentino, troviamo il santo raffigurato in una grande tela conservata presso la badia di San Fedele a Poppi. Si tratta di un’opera arrivata in paese nel 1818, in sostituzione della pala di Andrea del Sarto (Andrea d’Agnolo di Francesco Vannucchi) ritirata dal granduca Ferdinando III di Lorena il 28 ottobre dello stesso anno, oggi conservata presso la Galleria di Palazzo Pitti. Era stato infatti deciso di sostituire il dipinto di Andrea del Sarto, ultima opera del grande artista, con “ un quadro di buona mano da levarsi dalla collezione dell’Accademia di Belle Arti”. La tela raffigura la Madonna con bambino e i santi Lorenzo e Cecilia ed è stata in passato attribuita a Matteo Rosselli prima di essere considerata opera di Ottavio Vannini (Firenze, 1585 -1643) pittore molto richiesto come esecutore di copie di opere celebri, destinate a rimpiazzare in chiese ed oratori, gli originali acquistati dai Medici. La tela, capolavoro del classicismo neosartesco e purista, è stata oggetto di studio da parte di Filippo Gheri che ne ricostruisce le vicende relative alla committenza e destinazione per l’Oratorio fiesolano di Santa Cecilia annesso al Convento degli Osservanti, appartenuto alla Compagnia di San Lorenzo in Palco; questo giustifica la veduta di Fiesole sullo sfondo e la scelta dei santi raffigurati. Lo studioso attribuisce il dipinto al pittore Antonio Ruggieri (Firenze, 1615 -post 1670) allievo di Ottavio Vannini e data l’opera ad un decennio di distanza dalla morte del Maestro, cioè verso il 1653.