Una tavola concettuosa
La Natività di Gesù è una delle scene più raffigurate nell’arte. La nascita del Salvatore è tema che rimanda al mistero della duplice natura di Cristo, umana e divina e l’ingresso di Dio nella Storia. Nei Vangeli solo Luca e Matteo narrano la nascita di Gesù mentre Giovanni tratta l’evento da un punto di vista più prettamente teologico con queste parole:” Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv. 1,14)
I protagonisti della scena secondo gli evangelisti furono Maria, Giuseppe, Gesù e i pastori; il bue e l’asinello, le levatrici spesso intente al bagnetto del neonato, sono tutti elementi tratti dai Vangeli apocrifi. Secondo la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine né il bue né l’asinello osarono toccare il fieno della mangiatoia dove era stato deposto Gesù, e ciò permise a Sant’Elena la madre di Costantino imperatore, di portarne un po’ a Roma come reliquia, insieme ad alcune fasce e ad una tavoletta della mangiatoia, ancor oggi conservate in Santa Maria Maggiore, basilica romana dedicata alla Natività. Dal secolo XIV molti elementi della tradizione iconografica precedente vennero sostituiti attraverso rimandi alle Rivelazioni di Santa Brigida di Svezia che aveva visitato Betlemme nel 1370 e nel suo testo aveva fatto riferimento alla figura della Vergine adorante che pertanto inizia ad essere raffigurata in ginocchio e non più sdraiata. L’8 giugno 1538, al suo ritorno da Roma, Vasari riceve l’allogazione della seconda tavola per il tramezzo della chiesa del monastero di Camaldoli, opera firmata e datata. La visione notturna dell’evento, che Vasari stesso definiva alla fiamminga, presenta più punti luce: il riverbero dell’intensa luminosità che promana dal giaciglio del Bambino, coerentemente con la visione mistica di Santa Brigida, il chiarore dei fuochi accesi dai pastori sullo sfondo, le fiaccole che alcuni personaggi portano in mano sotto il porticato, l’alone luminoso dentro il quale si libra un angelo. L’opera per l’originale e concettuosa iconografia fu ammirata e lodata da molti contemporanei e Vasari stesso nell’Autobiografia scriverà :”Condussi quell’opera con tutte le forze e saper mio”. La figura della Vergine in atto di sorreggere un velo trasparentissimo cui tende le braccia anche il piccolo Gesù è una novità iconografica che rimanda all’invenzione che Raffaello aveva utilizzato nella Madonna del velo esposta in Santa Maria del Popolo, databile agli anni 1511/12, invenzione che palesava la sua valenza escatologica e funeraria. Il velo prefigura infatti la Passione di Cristo poiché allude al sudario in cui sarà avvolto al momento della morte. Altri contenuti simbolici e dottrinali sono rappresentati ad esempio dal giaciglio sul quale è appoggiato Gesù: si tratta di un fardello, un sacco bianco che rimanda al sacco della misericordia di cui aveva scritto San Bernardo: “Dio ha inviato sulla terra un sacco pieno di misericordia …” . Ed è possibile rintracciare riferimenti letterari ed in particolare ai Vangeli apocrifi nelle due figure femminili ammantate che sono raffigurate sulla destra: si tratta di presenze rare nell’episodio della Natività e il rimando potrebbe essere o alle due levatrici Zebel e Salomè ma l’identificazione rimane dubbiosa per la presenza delle aureole o ad una santa non identificata e a sant’Anastasia. Va ricordato che Salomè, la levatrice incredula, aveva osato visitare Maria, dopo il parto, per accertarsi della sua verginità, e proprio per questo aveva perso la mano che si era paralizzata riprendendo vitalità solo dopo averla accostata al Bambino Gesù. Sant’Anastasia invece era nata priva degli arti superiori, che riacquistò dopo aver preso in braccio Gesù appena nato. Le storie tramandate sulle figure femminili presenti nella grotta di Betlemme possono dunque confondersi, tuttavia Vasari ha saputo realizzare un’opera complessa, carica di significati teologici e devozionali, in parte ancora da chiarire, una tavola che presenta una summa iconografica che la rende un unicum nel panorama artistico toscano del secolo XVI.
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