Il 24 giugno ricorre la festività liturgica dedicata a San Giovanni, colui che in segno di purificazione dai peccati e di rinascita a nuova vita, immergeva nelle acque del Giordano, coloro che accoglievano la sua parola, cioè dava un Battesimo di pentimento per la remissione dei peccati, ed è per questo che è detto il Battista. Anche Gesù si presentò al Giordano per essere battezzato e Giovanni quando lo vide disse: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati dal mondo!” (Gv 1, 29.36). Nella grande pala d’altare invetriata della chiesa superiore di Santa Maria del Sasso (Bibbiena) l’artista ferma l’attimo in cui Giovanni presenta Gesù al suo arrivo presso il Giordano, subito prima di essere battezzato. Vestito con l’abito di pelle di cammello, che rimanda al suo eremitaggio nel deserto, è raffigurato nell’atto di indicare con la mano destra Cristo che si sta avvicinando a lui. La pala presenta un’esuberanza decorativa riscontrabile soprattutto nel suggestivo paesaggio ricco di piante e fiori tra i quali emergono le gialle primule, i primi fiori di primavera, fiori simbolo di rinnovamento proprio perché sono tra i primi a sbocciare, ai quali le leggende popolari attribuiscono il potere di sciogliere le rocce. Sempre secondo la leggenda, la notte tra il 23 e il 24 giugno, legata al solstizio d’estate, è considerata magica; così la festa religiosa, s’innesta su una precedente ritualità pagana vòlta, in origine, a celebrare la natura che, proprio in questo periodo dell’anno, raggiunge il suo massimo splendore. Tra i riti propiziatori di questa notte, un ruolo di primo piano è svolto dalla celebre acqua di San Giovanni, la cui preparazione inizia al tramonto del 23 giugno e vede la raccolta di diverse varietà di fiori ed erbe aromatiche, lasciate in acqua per un’intera notte, all’aperto, perché possano essere bagnate anche dalla rugiada. Nella stessa data, in seguito, la Chiesa ha voluto festeggiare la nascita di San Giovanni Battista, il precursore di Cristo. Nella pala di Santa Maria del Sasso, le figure di Cristo e Giovanni sono inserite in uno sfondo paesaggistico d’impronta naturalistica che denota una propensione coloristica da parte dell’autore; l’evento è quasi assorbito dal prevalente interesse naturalistico e paesaggistico. La decorazione ornamentale si distingue per i motivi archeologici di gusto classico (candelabre, grottesche, cornucopie, grifoni) che decorano le lesene laterali e sulla trabeazione sono presenti testine alate di cherubini. Le acque del fiume Giordano sono rese attraverso l’utilizzo di tre tonalità di colore, bianco, azzurro e giallo e l’artista cerca di rendere il movimento dello scorrere dell’acqua, ponendo in maniera quasi disordinata alcune losanghe, tecnica sperimentata anche nel Lavabo della sacrestia di Santa Maria Novella e nella chiesa di S. Giovanni Battista a Galatrona. Gli alberi fronzuti sono resi con dovizia di particolari: ben riconoscibili sono le foglie della quercia, dietro San Giovanni, foglie che si ripetono come elemento decorativo in alto accanto ai tondi con l’arcangelo Gabriele e la Vergine annunziata. Ciò che risulta innovativa è la presenza di alcuni animaletti: il nero scoiattolo intento a sgranocchiare una ghianda, la lucertolina che si mimetizza tra l’erba in basso a sinistra, sono elementi che caratterizzano le ricerche stilistiche di Giovanni della Robbia e ne rappresentano quasi una firma poiché sono riscontrabili in altre sue opere quali la Tentazione di Adamo (1516 ca. Baltimora, Walters Art Gallery) nella lunetta raffigurante la Sepoltura di Cristo (1521ca. Firenze, Museo del Bargello; già S.S. Annunziata); anche le decorazioni a candelabre hanno un preciso riscontro nella pala raffigurante Sant’Anna presenta l’Immacolata tra i santi Francesco e Antonio da Padova (1517 ca. Poggibonsi, San Lucchese). L’attribuzione a Santi Buglioni non la trovo affatto convincente e pur non volendo affrontare in questa sede la questione, sostengo che l’autore sia da identificarsi in Giovanni Antonio della Robbia (Firenze 1469 -1529-30) sia per motivi stilistici e le peculiarità formali dell’invetriato, sia per i rapporti personali che i fratelli di Giovanni avevano con il santuario mariano; il privilegiato rapporto che i figli di Andrea della Robbia, Marco o frate Mattia e Francesco o frate Ambrogio (domenicani in San Marco a Firenze) ebbero con il santuario bibbienese, dove avrebbero realizzato il fregio del tempietto decorato con cherubini e colombe, è notorio. Giovanni, terzogenito di Andrea della Robbia potrebbe avere realizzato la pala verso il 1525, periodo al quale risalgono opere che presentano caratteristiche stilistiche simili e soprattutto nel quale intensificò la sperimentazione dell’utilizzo di una varietà ed esuberanza di motivi decorativi che manifestò in una vasta produzione di canestri di frutti, fiori e animaletti come lucertole, rane e lumache che ne caratterizzano le opere. L’araldica presente ai lati della predella suggerisce una datazione antecedente il 1529, anno di morte del committente Cristoforo Sestini (stemma: d’azzurro al monte con sei cime d’oro sormontato da un compasso aperto) che l’aveva destinata all’altare della cappella di famiglia, la terza a sinistra della chiesa inferiore. Nella predella sono presenti tre scene della vita del Battista: l’annuncio dell’arcangelo Gabriele a Zaccaria, La nascita caratterizzata dalla figura di Zaccaria che, reso muto dall’angelo per la sua incredulità, scrive su un libro il nome del neonato, scena nota come “Imposizione del nome del Battista” che si trova al centro della predella, contravvenendo all’ordine cronologico degli eventi e la Visitazione (incontro di Maria con Elisabetta) quando il Battista, nel ventre della madre, sussultò all’arrivo di Maria incinta di Gesù.