Santo protettore della città di Assisi e patrono d’Italia, San Francesco è celebrato il 4 ottobre, giorno della sua morte avvenuta nel 1226. Canonizzato da papa Gregorio IX nel 1228 a soli due anni dalla morte, il padre serafico è stato proclamato patrono d’Italia nel 1939 da Pio XII. Nel 2005 il Parlamento ha indicato il 4 ottobre quale “solennità civile e giornata per la Pace, per la fraternità e il dialogo fra le Religioni”. La più antica immagine giunta fino a noi di san Francesco si trova nel monastero benedettino di Subiaco; il santo è raffigurato senza aureola e stimmate. Presso il Museo d’Arte Medievale di Arezzo, si trova un ritratto del santo (1260 ca /1275) di Margarito di Magnano detto Margaritone d’Arezzo, pittore che guarda alla tavola agiografica di Bonaventura Berlinghieri del 1235, conservata a Pescia. Chiara Frugoni, una delle più affermate studiose del santo d’Assisi, classifica tre archetipi fondamentali a cui collegare le diverse immagini del santo, diffuse nel corso del Duecento e considera primo archetipo quello proposto dal Berlinghieri con il santo che indossa un cappuccio a punta che lascia scoperta parte del capo per mostrarne la tonsura, il Vangelo chiuso nella sinistra e la mano destra aperta in segno di adesione e partecipazione al messaggio evangelico. In questo primo prototipo le stimmate sono ben visibili ma manca lo squarcio della ferita sul costato. Va considerato che la ferita del costato diverrà segno immancabile nell’iconografia ufficiale del santo in seguito alla bolla di Gregorio IX (Non Minus Dolentes) del 1237 in cui per la prima volta venivano enumerate con precisione le ferite delle stimmate. Nel Museo del santuario della Verna si conserva una tela seicentesca che raffigura il santo con cappuccio, con il Vangelo e le stimmate: il prototipo di riferimento è la tavola del Berlinghieri pur discostandosi da quella per la presenza della ferita al costato. L’anonimo artista manifesta il suo legame con gli archetipi medievali e testimonia come in età post-tridentina si fossero diffuse immagini che s’ispiravano ai prototipi di Berlinghieri, Giunta Pisano e Margarito che codificarono per l’Ordine francescano l’immagine del santo. Sulla sommità della tela alvernina, campeggia un’iscrizione a lettere capitali dorate che informa lo spettatore che si tratta di una VERA IMAGO e si pone come ritratto storico; mostra
Francesco il Serafico, con il libro dei Vangeli chiuso e sorretto dalla mano sinistra, ha la destra aperta e rivolta verso lo spettatore come a mettere in evidenza il segno lasciato dalle stimmate ricevute alla Verna. La figura del santo è di composta ieraticità e rimanda allo stesso linguaggio artistico delle più antiche icone toscane, ritenute dei veri e propri ritratti poiché realizzate in un periodo cronologicamente vicino a quello in cui era vissuto Francesco. L’iconografia proposta dal pittore seicentesco con il volto del santo allampanato ed emaciato, naso affilato e appuntito, tutto chiuso in sé nella meditazione, mostra una severa, ascetica e suggestiva immagine del santo con le mani che mostrano le capocchie dei chiodi della crocifissione, come aveva precisato Tommaso da Celano nella Vita Prima.
Un ritratto del santo conforme ai dettami post-tridentini ma che si allontana da quello tramandato da Giotto negli affreschi della Basilica di Assisi: di questo diremo in altra occasione spiegandone le motivazioni.