Il 25 marzo ricorre la festa dell’Annunciazione del Signore o della Beata Vergine Maria che, nella religione cristiana, rappresenta l’annuncio della nascita di Gesù a Maria (Vangelo di Luca) e a Giuseppe (Vangelo di Matteo) dall’arcangelo Gabriele. L’ evento si pone in connessione con il Concepimento verginale, e in questo giorno, in Toscana fino al 1750, era fissato il Capodanno, per cui il sistema di calcolo degli anni era detto Stile dell’Incarnazione. Solo dalla metà del Settecento in poi, i fiorentini, obbligati da un decreto del Granduca Francesco II di Lorena, cominciarono a festeggiare il Capodanno il primo di gennaio, come stabilito già dal 1582 da papa Gregorio XIII. La raffigurazione artistica dell’Annunciazione, scena che rappresenta l’inizio del percorso salvifico e di redenzione dell’umanità, è l’affascinante narrazione metaforica del mistero dell’Incarnazione che introduce l’Eterno nel Tempo. L’incontro tra Divino e Umano è tradotto figurativamente attraverso il simbolo della colomba che è lo Spirito santo che colpisce con i suoi raggi il ventre di Maria. La presenza del Padre Eterno che invia la colomba, è una costante nell’iconografia della scena come pure lo è il giglio con i tre fiori dischiusi, simbolo della triplice verginità della Madonna (ante partum, in partu, post partum) come sancito dal Concilio Lateranense del 639. Il senso epifanico dell’Annunciazione è spesso sottolineato nei dipinti dalla presenza della tenda che non è solo elemento di arredo ma che diventa anche simbolo di rivelazione: la tenda infatti nascondeva l’immagine sacra fino al momento della teofania e quando si apriva, segnava l’inizio della rivelazione. Presso il monastero di San Giovanni Evangelista, delle camaldolesi di Pratovecchio, il più antico cenobio femminile dell’Ordine Camaldolese, fondato nel 1140/43 dal conte Guido dei Guidi e dalla contessa Imilia per la figlia Sofia che ne fu la prima badessa, si conserva una tela con l’Annunciazione, di anonima mano, forse femminile, che s’ispira ai modi stilistici di Francesco Mati (Firenze 1561 – 1623), come suggerisce Lucia Bencistà. L’artista fiorentino, è noto in Casentino per avervi lasciato alcune significative testimonianze di pittura post-tridentina riformata, avvalendosi di una cifra stilistica naturalistica ed accostante che l’anonimo/a artista del dipinto in questione ripropone, utilizzando gli schemi narrativi del Mati, attraverso una formula semplificata ed accattivante. Un’atmosfera intima caratterizza la tela che per lo stile arioso e frizzante farebbe pensare, come già accennato, a mano femminile, forse proprio quella di una monaca di clausura che avrebbe così voluto lasciare testimonianza del suo nobile casato d’origine, visto lo stemma presente nel dipinto: si tratta di quattro catene moventi dai quattro angoli riunite in cuore con un anello centrale, sormontate da una stella a più punte, che rimanda alla famiglia Ducci, presente con i vari rami in alcune località del Casentino. La tela che presenta la scena dell’Annunciazione, ambientata nella stanza da letto della Vergine, ha sulla destra un’apertura con una veduta paesaggistica che probabilmente rimanda all’Alpe di Catenaia, luogo d’origine della famiglia Ducci. L’arcangelo Gabriele, raffigurato a destra del dipinto inginocchiato su una nuvola di soffice bambagia che fa da cuscino, è caratterizzato da possenti e vaporose ali aranciate: questa soluzione figurativa ed iconografica è adottata per soddisfare l’esigenza di raffigurare simbolicamente l’incorporeità angelica che prende le mosse proprio dall’avvicinamento testuale e iconografico fra angeli e nuvole in funzione della riflessione patristica sull’aria. Tra i padri della Chiesa ricordiamo San Tommaso d’Aquino che nella Summa Theologiae scrive: “… sebbene l’aria, permanendo nel suo stato di rarefazione, non trattenga né figura né colore, quando tuttavia si condensa, può acquistare colore e forma, come accade nelle nuvole; e in questo modo gli angeli traggono corpo dall’aria, condensandola per virtù divina, quel tanto che basta ad assumere la forma di un corpo”. Una tela di non alta qualità artistica, densa di simboli e rimandi ai testi sacri ma capace di narrare anche una storia personale che non possiamo conoscere fino in fondo ma che possiamo immaginare legata alle vicende personali di una monaca/pittrice forse còlta da nostalgia per la propria terra d’origine. La tela è stata esposta al castello di Poppi nel 2022 in occasione della mostra “Nel segno della vita. Donne e Madonne al tempo dell’attesa” curata da Alberta Piroci Branciaroli, in collaborazione con il Progetto TERRE DEGLI UFFIZI.