I Tesori del Casentino: San Giuseppe e il suo bastone/reliquia conservato a Camaldoli

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Dopo il restauro


Giuseppe, sposo di Maria e padre putativo di Gesù, era un umile falegname di Betlemme. La festa che lo ricorda, cade il 19 marzo e fu istituita ed inserita nel calendario romano dal francescano Sisto IV e resa obbligatoria, quindi festa di precetto, nel 1621 da Gregorio XV. Figura marginale attestata all’interno di alcune scene sacre come la Natività o la Fuga in Egitto, nel corso dei secoli ha conquistato una maggiore autonomia e il culto e la devozione per il padre putativo del Salvatore, si è andato diffondendo sempre più. Definito uomo giusto nei Vangeli, per aver fatto proprio il ruolo di padre, con assunzione responsabile e consapevole, Giuseppe è raffigurato anziano e calvo secondo la descrizione dei Vangeli apocrifi per alludere alla sua relativa impotenza, garanzia per la salvaguardia della verginità di Maria e fugare così ogni dubbio circa la sua partecipazione attiva alla gravidanza della sua sposa. Nelle Sacre Scritture Giuseppe compare per la prima volta nella scena del sogno, quando un angelo gli annuncia che il Bambino che Maria portava in seno era Figlio di Dio. A partire dal secolo XVI la figura di Giuseppe acquista più autonomia culturale e iconografica, definitivamente sancita dalla rinnovata teologia della Controriforma. Gli attributi che accompagnano il santo sono gli strumenti del falegname, la colomba e la verga fiorita: quest’ultimo attributo prende spunto dalla narrazione medievale degli apocrifi a loro volta di derivazione veterotestamentaria con riferimento all’elezione al sacerdozio della tribù di Levi, prescelta in seguito alla fioritura della verga di Aronne, dopo che questa era stata riposta nel tabernacolo del tempio, con le verghe di altre undici tribù. Negli apocrifi invece, il segno della scelta che scaturisce dalla verga è una colomba, simbolo dello Spirito Santo e la leggenda deriverebbe dalla forzata interpretazione del Libro di Isaia (XI,1). Il bastone fiorito sembra essere così frutto di un sincretismo delle due profezie veterotestamentarie, veicolato attraverso le scritture apocrifiche. La fioritura miracolosa del bastone di Giuseppe, uno dei pretendenti di Maria, era stato il segno che aveva indicato ai sacerdoti del Tempio quale era il predestinato sposo della Vergine. Il fiore del bastone di San Giuseppe, lo stesso che campeggia nello stemma di Papa Francesco, è il fiore di nardo, dal quale si ricava un olio profumatissimo, considerato di grande valore fin dall’antichità, usato come incenso.  Mi piace qui ricordare  che Papa Francesco ha inserito questo simbolo del fiore di nardo nel suo  stemma poiché il santo Padre ha manifestato una particolare devozione nei confronti di San Giuseppe, infatti ha proclamato il 2021 anno dedicato al santo, mediante la Lettera apostolica Patris corde “Con cuore di Padre”. Con questa proclamazione, il Pontefice ha voluto riconoscere il valore delle persone semplici, umili, che pure si spendono ogni giorno per aiutare gli altri, proprio come questo falegname che dedicò la propria vita a proteggere la propria giovane moglie e Gesù Bambino. Dopo la Controriforma Giuseppe, simbolo di paternità affettuosa, viene raffigurato secondo una nuova iconografia che lo mostra con il Bambino in braccio in assenza della Madre Maria; ciò è dovuto al fatto che nel periodo della Riforma Cattolica ci fu una grande rivalutazione della famiglia e, al suo interno, del ruolo del padre. Ne è testimonianza una serie di dipinti dei più grandi artisti della fine del secolo XVI e gli inizi del successivo (Guido Reni, Guercino ect). Veniamo ora a scrivere delle reliquie di San Giuseppe: quella del bastone è una delle più note. A Napoli, presso la Chiesa di San Giuseppe dall’Arciconfraternita di San Giuseppe dell’Opera di Vestire i nudi, ne è conservata una che sarebbe giunta in città nel 1795 dall’Inghilterra ed è detta “mazzarella di San Giuseppe”. Ma non è l’unica conosciuta, infatti presso il monastero di Camaldoli si conserva un bastone/reliquia che si trovava a Firenze sin dal secolo XV in Santa Maria degli Angeli; la tradizione racconta che il bastone di San Giuseppe fu portato a Firenze dal cardinale Bassarione, Patriarca di Costantinopoli, durante il Concilio di Firenze che ebbe inizio nel 1439. Nell’occasione, la reliquia venne donata al Priore Generale dell’Ordine dei Camaldolesi, Ambrogio Traversari e conservata nel monastero fiorentino fino al 1935, anno in cui fu portata all’Eremo di Camaldoli. Altra testimonianza camaldolese, relativa al culto di San Giuseppe è una interessante tela attribuita al pittore caravaggesco Venanzio l’eremita, dipinto che reca la data 1640 (MDCXXXX). Al gruppo centrale di Giuseppe e il Bambino fanno riscontro ai lati San Francesco e San Filippo Neri: la scelta di questi santi trova la sua spiegazione nel fatto che i francescani furono trai primi a diffondere il culto del padre di Gesù e San Filippo Neri, fiorentino di nascita e romano d’adozione, può essere definito il padre degli Oratori, luoghi di accoglienza dei giovani. Consacrato sacerdote nel 1551 si dedicò ai ragazzi romani di strada, sfamandoli e insegnando loro, attraverso il gioco e aiutandoli nel periodo della crescita. Il restauro della tela risale al 1995 e la pulitura cui è stato sottoposto ha riportato in luce il gradino con l’iscrizione della liturgia della messa e la data. Inoltre sono stati asportati i rimaneggiamenti e le aggiunte che probabilmente risalivano alla fine del Settecento quando è documentata la ricollocazione del dipinto nella cappella dedicata a San Giuseppe presso la Chiesa del Salvatore all’Eremo. Nell’occasione sarebbe avvenuta l’aggiunta della verga fiorita attributo che avrebbe reso immediatamente identificabile il santo titolare della cappella. Di grande interesse risulta la notizia che la tela nel tempo era stata attribuita anche a Guido Reni; spetta alla studiosa Conigliello l’attribuzione all’eremita Venanzio. L’artista probabilmente originario di Camerino, prese i voti nell’Ordine Camaldolese in età avanzata e soggiornò presso Camaldoli negli anni quaranta del secolo XVII. Oggi il dipinto non presenta più la verga fiorita e il restauro ha dato nuova vita alla tavolozza utilizzata dal pittore, il cui stile rimanda al linguaggio caravaggesco. La composizione colpisce per gli splendidi giochi  e contrasti di luci e ombre e per la composizione originale: l’ammiccamento tra il Bambino Gesù e San Francesco è un chiaro rimando all’Ordine che propagò il culto del santo mentre san Filippo Neri, che si occupò dei bambini di strada è raffigurato in preghiera; San Giuseppe in atteggiamento caritatevole, mostra il Figlio e partecipa a questa muta conversazione che verte sul rapporto amorevole con i più piccoli.

 

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Alberta Piroci Branciaroli
Laureata in Lettere e Filosofia con indirizzo in Storia dell’Arte presso l’Università degli Studi di Firenze e specializzata in Arte Medievale e Moderna (corso post-laurea) presso lo stesso ateneo, docente di Lettere negli Istituti Secondari di primo grado, ha collaborato con la Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici di Arezzo per la catalogazione dei beni mobili del territorio provinciale. Vive e lavora in Casentino, collabora con il Centro Creativo Casentino e con il Parco Letterario Emma Perodi e foreste casentinesi. Collabora con la rivista online Park Time dei Parchi Letterari. Numerose sono le pubblicazioni: La Verna. Guida al sacro monte. (Collana curata dal Prof. Brilli. Le guide del viaggiatore raffinato) Ed.Edimond, Città di Castello, 2000 Arte e Architettura religiosa del Seicento. La decorazione barocca della chiesa dell’Eremo di Camaldoli, in “Il Seicento in Casentino”, catalogo mostra, Castello di Poppi, Ed. Polistampa, 2001 Temi iconografici legati alla devozione, loro diffusione nelle pitture del territorio casentinese, in “Il Seicento in Casentino” Catalogo Mostra, Castello di Poppi, Ed. Polistampa, 2001 Da Mercurio a San Michele: un percorso iconologico, in Intersezioni, Rivista Ed. Il Mulino, vol. XXII, 2002 Il polittico della Misericordia, in Piero della Francesca. Il Museo civico di Sansepolcro. Silvana editoriale,2002 Camaldoli, il monastero, l’eremo, la foresta. “Guide del viaggiatore raffinato. Edimond, Città di castello,2003 La città immaginata. Aretium, Ed. Edimond, Città di Castello, 2005 Le collezioni artistiche, in Tesori in prestito. Il Museo della Verna e le sue raccolte, Ed. Industria Grafica Valdarnese, San Giovanni Valdarno, 2010 Curatrice della mostra e del catalogo “Nel segno di Leonardo” La tavola Doria dagli Uffizi al Castello di Poppi. Ed. Polistampa, 2018 Approfondimenti didattici nella pubblicazione di Paola Benadusi “Fiabe magiche per grandi e bambini, Tau Ed. 2019 La valle dei racconti. In Casentino con Emma Perodi, Paolo Ciampi e Alberta Piroci, Aska ed. 2019 Alberta Piroci Branciaroli, San Francesco messaggero di pace, Ed. Helicon 2020 Curatrice della mostra NEL SEGNO DI DANTE. IL CASENTINO NELLA COMMEDIA, Ed. Polistampa 2021 Commenti storico-geografici nella pubblicazione di Paola Benadusi, Sette Fiabe gotiche, Tau Ed. 2021 Con Emma e Dante in Casentino, pubblicazione tramite sito online Bonconte ultimo atto, alla confluenza dell’Archiano con l’Arno, Ed. Mazzafirra, 2021 Curatrice della mostra e del catalogo: Nel segno della vita: Donne e Madonne al tempo dell’attesa. Ed. Polistampa, 2022

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