Nato tra il 250 e il 260 a Patara, nella Licia, Nicola divenne vescovo di Myra e affrontò la persecuzione. Nel 1087 le sue reliquie arrivarono a Bari dove ancora si conservano nella cattedrale a lui dedicata. La sua figura è legata al mito di Santa Claus che in Italia è Babbo Natale, l’uomo barbuto che porta i doni ai bimbi. La leggenda ha arricchito di particolari meravigliosi la sua vita e ha fatto di questo santo il taumaturgo per eccellenza, sia dell’Oriente greco, sia dell’Occidente latino. Secondo la leggenda egli, caritatevole fin dalla giovinezza, avrebbe, di nascosto, donato a tre fanciulle una dote, salvandole così da un destino di prostituzione; avrebbe schiaffeggiato Ario in pieno concilio di Nicea (ma dalle liste superstiti non risulta il suo nome tra quelli dei vescovi presenti); avrebbe sedato la tempesta durante un suo viaggio ai luoghi santi, ciò che lo ha reso patrono della navigazione; avrebbe risuscitato tre giovanetti tagliati a pezzi e messi in salamoia da un macellaio. Nicola è un santo miroblita: dalle sue ossa i canonici del santuario di Bari raccolgono un liquido oleoso, detto “manna di San Nicola”. Nell’arte greca e latina S. Nicola è sempre rappresentato con attributi episcopali, mentre sorregge tre sfere dorate simbolo delle doti. Secondo la leggenda il santo avrebbe scoperto che una famiglia nobile era caduta in disgrazia e che il capofamiglia che aveva tre figlie le stava avviando alla prostituzione, poiché non aveva la possibilità di dare loro una dote per maritarsi. San Nicola allora, dopo aver preso del danaro e averlo avvolto con della stoffa, fece scivolare nella casa delle fanciulle, attraverso una finestra, i tre gruzzoli di danaro, permettendo così alle ragazze il riscatto dal disonore della prostituzione. Le più comuni figurazioni della sua leggenda derivano dalla versione di Iacopo da Varazze. Nella parete di sinistra, della pieve di Sant’Ippolito di Bibbiena, si trova una complessa architettura murale dipinta che raffigura un trittico con cornici dorate, intagliate e riccamente decorate a gattoni e colonnine tortili di grande eleganza; nello scomparto di sinistra, San Nicola, raffigurato di tre quarti, in vesti vescovili e mitria e pastorale, è reso con esecuzione meticolosa, finezza grafica e tavolozza dai colori chiari e reca nella mano sinistra le tre sfere dorate, simbolo delle doti delle fanciulle. La pittura in stile tardogotico, è opera del Maestro di Bibbiena anonimo artista di cui non è stata ancora scoperta l’identità anagrafica, il cui stile rimanda ai modi di Lorenzo Monaco e Alvaro Perez da Evola (Portogallo) artista quest’ultimo che fu attivo tra la fine del Trecento e inizi del secolo successivo tra il Portogallo e la Toscana. La pittura murale della pieve bibbienese dalla quale prende nome l’anonimo artista, raffigura nello scomparto centrale, la Madonna con Bambino nell’iconografia dell’Eleusa (madre e Figlio sono raffigurati in un affettuoso abbraccio che unisce le loro guance) a destra, a figura di tre quarti, Sant’Ippolito, uno dei santi titolari della chiesa e nella parte superiore la Trinità con due angeli genuflessi ai lati. La pittura è databile agli anni venti, venticinque del Quattrocento.
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