I Tesori del Casentino: una tavola con San Bartolomeo presso i Santuario di Santa Maria del Sasso

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San Bartolomeo, apostolo di Gesù, era originario di Cana in Galilea. Non ci sono indicazioni sulla data di nascita. È incerto anche il luogo di morte (Armenia o Siria) e la data (verso il 68 d.C.). Viene festeggiato il 24 agosto. Nel 264 le reliquie del santo giunsero a Lipari, quando era vescovo sant’Agatone, fino a quando vennero parzialmente disperse dagli arabi nel IX secolo; nel 410 le spoglie vennero portate a Maypherkat  detta Martiropoli. Nel 507 l’Imperatore Anastasio I le portò a Dara, in Mesopotamia. Nel 546 ricomparvero a Lipari e nell’838 a Benevento. Secondo la tradizione trasmessa da Eusebio di Cesarea, Bartolomeo andò a predicare in India ed Armenia, forse insieme a Giuda Taddeo, dove fondarono la Chiesa cristiana. In Armenia convertì il fratello del re Astiage. Questi, istigato dai sacerdoti dei templi pagani, ordinò a Bartolomeo di adorare gli idoli e, di fronte alla sua disubbidienza, lo fece scuoiare vivo e poi decapitare: da qui il suo patronato sui conciapelli. Ma questa non è l’unica versione del suo martirio, anche se la più famosa. Il luogo del martirio sarebbe Albanopoli, sulla costa occidentale del Mar Caspio, e la data intorno al 60-68. Il santo è raffigurato in una tavola, conservata presso la chiesa inferiore del santuario di Santa Maria del Sasso (Bibbiena) nella cappella della famiglia Camaiani, opera attribuita al pittore aretino Giovanni Antonio Lappoli (Arezzo, 1492 – 1552) che potrebbe aver avuto la committenza dell’opera anche grazie allo zio Giovanni di Giuliano Lappoli detto il Pollastra, canonico della cattedrale aretina dal 1525 e noto umanista.  Secondo la tradizionale iconografia sorregge con la mano destra il libro sacro e il coltello, strumento del suo martirio. Dai documenti si evince che il pittore ricevette il saldo per l’opera nel 1536 dopo un litigio con la committenza. Giovanni Antonio, dopo una prima formazione in ambito aretino, si spostò a Firenze dove fu attratto soprattutto dalle opere di Andrea del Sarto e di Iacopo Carucci, detto il Pontormo, presso cui andò a bottega, a quanto dice Giorgio Vasari (VI, p. 6). La permanenza presso il Pontormo, che sempre secondo Vasari coincise con quella di Agnolo di Cosimo detto il Bronzino e di Giovanni Maria Pichi dal Borgo, sarebbe da collocare negli anni 1515-19. La tavola casentinese che raffigura Madonna con Bambino in trono e i ss. Bartolomeo e Matteo, presenta una tipica composizione serrata con le sagome dei personaggi come ritagliate, una maniera rigida e spigolosa e durezze esecutive, tutti elementi che caratterizzano lo stile pittorico del nostro. L’opera, pur manifestando ancora la dipendenza dall’arte del Rosso, mostra una composizione più semplice e simmetrica risolta con maggior scioltezza, nonché una gamma coloristica preziosa e brillante. La monumentalità delle figure deriva anche dallo studio della Sistina michelangiolesca vista a Roma prima del sacco del 1527; è da ricordare che Michelangelo raffigurò nel Giudizio Universale, San Bartolomeo nell’atto di sorreggere la propria pelle sulla quale l’artista impresse il proprio autoritratto.

Particolare della tavola raffigurante San Bartolomeo custodita presso il Santuario di Santa Maria del Sasso a Bibbiena

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