Di Costanza Brezzi
Educazione alla Legalità: gli studenti dell’IISS Galileo Galilei di Poppi incontrano Angelo Corbo, agente di scorta sopravvissuto alla Strage di Capaci
Nell’ambito di un importante progetto di Educazione alla Legalità, lunedì 29 marzo 2021 alcune classi dell’IISS Galileo Galilei di Poppi hanno avuto la possibilità di incontrare Angelo Corbo, agente di scorta sopravvissuto alla strage di Capaci. L’incontro, che si è svolto da remoto, è stato introdotto e presieduto dal Dirigente Scolastico, Dottor Vito Chiariello.
Il 23 maggio del 1992 l’agente Corbo si trovava nella macchina “chiudi pista” della scorta del Giudice Giovanni Falcone, di ritorno da Roma insieme alla moglie Francesca Morvillo. La scorta era formata da tre auto blindate: apriva il corteo la Croma marrone, a bordo della quale si trovavano gli agenti Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo. La seconda macchina sul percorso era la Croma bianca, guidata dallo stesso Giudice Falcone, con accanto la moglie Francesca Morvillo, mentre l’autista giudiziario, Giuseppe Costanza, si trovava nel sedile posteriore. Chiudeva la scorta la Croma blu, dove erano presenti gli agenti Paolo Capuzza, Gaspare Cervello e, appunto, Angelo Corbo.
Era un caldo sabato di fine maggio quando, alle 17:56, una violenta esplosione squarciò letteralmente l’autostrada che metteva in collegamento l’aeroporto di Punta Raisi con la città di Palermo. Un’esplosione talmente forte, quella avvenuta nei pressi dello svincolo autostradale di Capaci, da essere registrata persino dai sismografi.
Più di cinque quintali di tritolo distrussero cento metri di asfalto, facendo volare le auto blindate. Giovanni Brusca, braccio destro di cosa Nostra, sulla collinetta sopra Capaci, aveva azionato il pulsante di un detonatore che, da quel momento, aprirà una forte ferita nella storia della nostra Repubblica e, con essa, mille dubbi e interrogativi.
Persero nell’immediato la vita i tre agenti della scorta che aprivano il corteo, colpiti in pieno dalla ferocia della deflagrazione. Feriti, sotto shock, avvolti da un inferno di polvere e fumo, i tre agenti “chiudi pista” Capuzza, Cervello e Corbo riuscirono invece ad uscire dall’auto.
Erano vivi, anche se, come dirà lo stesso Corbo nell’incontro con i ragazzi del Galilei, “da quel giorno muori ogni volta che parli, ogni volta che ti metti a letto e purtroppo i tuoi sogni andranno sempre all’incubo di quel momento. Rimanere in vita non è una cosa semplice, ma molto complessa, soprattutto quando ti senti tradito da chi ti doveva stare accanto”.
Il loro senso del dovere, anche in preda ad una situazione drammatica come questa, dove l’istinto ti porterebbe a fuggire e a metterti in salvo, tuttavia non li abbandonò. I tre agenti si posizionarono davanti alla macchina del giudice Falcone agonizzante e impugnarono, in maniera naturale, le armi di servizio, temendo che qualche sicario mafioso potesse completare l’operazione, dando il famoso “colpo di grazia”.
Il resto è storia. Giovanni Falcone, magistrato simbolo della lotta antimafia, morirà alcune ore dopo in ospedale. Così come la moglie Francesca Morvillo. Cinquantasette giorno dopo, l’altro simbolo della lotta alla mafia, il Giudice Borsellino, perderà la vita, insieme a cinque agenti della scorta, nell’attentato di Via d’Amelio. Quattro furono i sopravvissuti alla strage di Capaci: l’autista giudiziario, che si trovava nel sedile posteriore dell’auto di Falcone, e i tre agenti della Croma Blu. Cinque le vittime. Le vittime tuttavia, come ricorda Corbo, “non sono solo quelle che muoiono, ma sono anche coloro che sono costretti a vedere morire un compagno senza capire il motivo per cui loro sono sopravvissuti. Molti pensano che chi sopravvive ad una strage come questa sia un fortunato, perchè chi muore, muore una volta sola. Chi sopravvive invece, muore continuamente; perché quando i tuoi ricordi vanno a quel giorno e pensi che i tuoi colleghi, i tuoi amici che per te sono fratelli sono morti, allora ti senti in colpa e ti senti una vittima”.
Dopo la strage di Capaci l’agente Corbo deciderà di rimanere in polizia. Cambierà città, trasferendosi in Toscana, lasciando Palermo, dove era nato e cresciuto. Nel capoluogo siciliano, in età giovanile, l’agente aveva subito, tra l’altro, atti di bullismo a scuola. Dopo il diploma era maturata l’idea di entrare in polizia perché, proprio quella scuola dove aveva subito bullismo, era stata in grado, come affermerà Corbo “di darmi la possibilità di conoscere dei personaggi che negli anni Ottanta stavano scrivendo la storia non della Sicilia, ma della nazione. La scuola mi ha dato la possibilità di crescere conoscendo le gesta di certe persone che erano davvero importanti”.
La scuola gli aveva trasmesso, attraverso l’insegnamento dei suoi professori e dei suoi Dirigenti Scolastici, degli ideali onesti in cui credere. Dei modelli da seguire. E quegli ideali e quei modelli voleva adesso difenderli, anche a costo della propria vita.
Da qui la decisione di accettare di far parte della scorta di Falcone, quell’uomo che lui considerava un idolo, “un grande professionista che dedicava anima e cuore al suo lavoro, che si circondava di persone in grado di dare il massimo a quello che lui faceva”. Un personaggio tanto importante, quanto ingombrante.
Decidere di far parte della sua scorta voleva tuttavia dire, come dichiarerà Corbo agli studenti del Galilei, “transitare anche tu tra i morti che camminano, significa che sei a rischio perenne quando sei in servizio, in quelle macchine che noi chiamavamo le bare volanti. Sai che quando monti in servizio conosci l’inizio del turno, ma non sai se tornerai a casa”. Anche se sopravvissuto alla Strage di Capaci, Corbo si è sentito per molto tempo un “morto vivente”.
Nel corso degli anni, tuttavia, il boato che aveva investito l’agente quel caldo pomeriggio di fine maggio inizierà, pian piano, a lasciare spazio alla voglia di parlare. Un boato assordante che prenderà progressivamente voce. Una voce che con il tempo andrà lentamente ad affievolire quel senso di colpa che è stato una costante per gran parte della sua vita.
Nascerà nell’agente la volontà di raccontare ai ragazzi nelle scuole, in maniera sincera ed onesta, il fenomeno mafioso e la cultura della legalità, sempre con un focus alla strage di Capaci e alle contraddizioni e alle incongruenze che hanno segnato quella giornata. A tal proposito Corbo ha scritto anche un libro, dal titolo “Strage di Capaci, paradossi, omissioni e altre dimenticanze” dove, ripercorrendo la tragedia di quegli attimi, si è posto anche dei forti interrogativi sulle responsabilità di quella triste pagina di storia, ancora oggi in attesa di una risposta.
I ragazzi del Galilei hanno dunque avuto la possibilità di assistere ad una testimonianza preziosa, inserita, come già detto, all’interno di un progetto di Educazione alla Legalità che l’Istituto porta avanti con grande impegno e responsabilità.
L’IISS Galilei da sempre si pone come obiettivo quello di educare gli studenti alla capacità critica, all’autonomia di giudizio e all’esercizio della democrazia, promuovendo la partecipazione attiva degli alunni alla vita della scuola quali soggetti del rapporto educativo e sviluppando, in tale prospettiva, importanti iniziative legate alla cultura della legalità.
Educare alla legalità significa trasmettere i principi della democrazia, significa elaborare e diffondere la cultura del rispetto verso il prossimo. Educare alla legalità significa rendere le studentesse e gli studenti protagonisti nell’esercitare i propri diritti-doveri di cittadinanza. L’insegnamento della legalità rappresenta una sorta di “confine educativo” ricco di importanza, che si pone come intento quello di creare un dialogo costruttivo fra i giovani cittadini e le istituzioni, incentivando il senso di responsabilità del singolo nei confronti della comunità.
La formazione di un senso di appartenenza allo Stato ha, inoltre, la funzione di rendere gli studenti parte attiva nel processo di sensibilizzazione e di contrasto ai fenomeni mafiosi e alla criminalità organizzata. E la testimonianza di Angelo Corbo si indirizza proprio in tal prospettiva. Una testimonianza vera e sincera, che ha l’obiettivo, tra l’altro, di infondere speranza. Quella stessa speranza che nutriva Giovanni Falcone e che, l’agente Corbo, in risposta ad una domanda posta da una studentessa, cerca di trasmettere ai ragazzi, riportando le parole dello stesso Falcone: “La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine”.
Attraverso momenti come questi si gettano dunque tanti piccoli semi, proprio come quelli che hanno gettato i Giudici Falcone e Borsellino, gli agenti della scorta e tutte quelle persone che hanno lottato e lottano ogni giorno, anche a costo della propria vita, per un domani migliore.
Questi semi sono rari e preziosi e vanno difesi perché, se coltivati in un terreno all’insegna della legalità, della cultura e del rispetto, diventeranno gli alberi del nostro domani.