Andrea Ricci è nato e cresciuto a Bibbiena Stazione e proprio lì, nel suo paese, ci racconta di aver imparato il valore della diversità. Lui stesso definisce il suo paese di origine un melting pot di culture diverse dove per anni ha convissuto con persone provenienti da tutto il mondo: Albania, Romania, Kosovo e poi India, Pakistan, Bangladesh e molti paesi dell’Africa. Lì ha conosciuto culture diverse, usi e costumi nuovi e il valore della multiculturalità. E forse proprio questa prima esperienza l’ha portato ad intraprendere il suo percorso di studi – a Firenze in cooperazione internazionale – e la sua scelta di vita. In passato ha portato il suo prezioso contributo in molti paesi: Turchia, Corsica, Sardegna, Portogallo, Myanmar, Nepal e India. Attualmente lavora per Cesvi Fondazione Onlus e si trova in Ungheria, a Záhony, al confine con l’Ucraina. L’Ungheria condivide 135 km di confine con l’Ucraina ed è la nazione che insieme alla Polonia sta accogliendo la maggior parte dei profughi in fuga dalla guerra. In particolare Záhony è il principale punto di ingresso in Ungheria dove si può arrivare a piedi, su gomma e su rotaia. Lì, attualmente, si stimano circa 5.000 arrivi al giorno.
Andrea, sappiamo che ti stai occupando di accoglienza per conto di Cesvi. Ci vuoi raccontare nello specifico di cosa vi occupate?
Sì, lavoro per Cesvi Fondazione Onlus, un’organizzazione umanitaria con sede a Bergamo. Cesvi, fin dal secondo giorno dallo scoppio della guerra si è attivata per garantire ai profughi in fuga un’accoglienza sicura in Europa. Ci siamo attivati attraverso il nostro network Alliance2015 che è un gruppo di 8 ONG europee. Io mi trovavo già in Ungheria, a Budapest, e ho individuato Záhony come un potenziale punto critico di entrata e lì ci siamo diretti per portare il nostro aiuto. Alle persone che arrivano lì, in fuga dall’Ucraina, è necessario fornire una serie di servizi minimi per la loro permanenza. Quindi, in accordo con la municipalità di Záhony, abbiamo costruito una tenda che possa garantire non solo un rifugio riscaldato, ma anche circa 5000 pasti al giorno. E in più, in collaborazione con alcuni partner, forniamo anche informazioni legali e logistiche, ma, soprattutto, cerchiamo di dare a chi sta fuggendo dalla guerra la sensazione di essersi messe il peggio alle spalle ed essere approdati in un “porto sicuro” e accogliente quale è l’Europa.
State anche organizzando una raccolta fondi. Come utilizzerete questi soldi e come possono fare i casentinesi per contribuire?
Sì, personalmente mi sto occupando di una raccolta fondi per garantire ai profughi tutti i servizi essenziali cui accennavo prima: accoglienza, pasti caldi, servizi igienici, assistenza medica, etc. Chiunque può diventare, singolarmente, un fundraiser e contribuire per quanto può. Farlo è semplice, basta collegarsi al seguente link e fare una donazione: www.gofundme.com/f/andrea-e-cescvi-accanto-a-chi-fugge-dalla-guerra In più, sarebbe interessante, a livello di comunità, organizzare concerti o eventi culturali che, oltre a sensibilizzare l’opinione pubblica su questa ennesima crisi umanitaria che stiamo vivendo, possano anche avere il fine di contribuire a questa raccolta fondi perché tanto c’è ancora da fare. Per esempio creare un asilo temporaneo per i tantissimi bambini che stanno arrivando.
In generale, per quello che hai potuto vedere con i tuoi occhi, com’è la situazione dei profughi ucraini che arrivano da voi? In che condizioni sono e in quale stato d’animo?
Come potete ben immaginare le persone che arrivano qua sono distrutte con ancora negli occhi le immagini della guerra. Sono persone che hanno lasciato tutti i propri beni e in molti casi anche i loro cari con la possibilità di non rivederli più. Molte volte sono traumatizzati da questo e i bambini e le bambine sono coloro che stanno pagando il prezzo più alto di questa guerra di cui non riescono neanche a capirne i motivi, ma si rendono conto, però, che è una situazione drammatica. Ho avuto modo, in questi giorni, di parlare con tante persone e i racconti che mi hanno fatto sono strazianti: ore e ore di cammino, di file interminabili al freddo e sotto le intemperie, persone che per salire su treni stipati hanno dovuto abbandonare anche quel poco che erano riusciti a portarsi dietro, mamme che arrivano con i figli in braccio e solo una piccola valigia al seguito perché non hanno potuto portare di più. Sono individui che hanno il cuore spezzato in due e hanno subito traumi che porteranno con loro per molto tempo. Anche per questo motivo avremmo intenzione di lavorare sul supporto psicologico sia per i bambini che per gli adulti in modo che le ferite della guerra si possano rimarginare il più in fretta possibile. Ho raccolto le testimonianze di persone che hanno vissuto nei sottoscala per giorni prima di poter scappare e poi hanno affrontato lunghe marce sotto la neve per fuggire e arrivano esauste, stremate e molto spesso non si rendono neanche conto di essere fuori pericolo. Ed è qui che comincia il nostro compito: farli sentire a casa, dar loro un po’ di calore umano oltre che i servizi essenziali di cui parlavo prima.
Andrea, cosa ti ha portato a fare questa scelta: impegnarti in prima persona per questa causa?
Ho trovato nella cooperazione internazionale e nell’aiuto umanitario la mia missione di vita. Ho studiato per questo e questo è sempre stato il mio obiettivo. Mi reputo una persona fortunata nella vita e ho sempre avuto l’esigenza di aiutare chi non lo è stato come me e chi continua a pagare, ancora oggi, le scelte scellerate di pochi. Ho lavorato in molte situazioni di emergenza, ma qui la sensazione è di essere davanti alla più grossa crisi umanitaria dal dopoguerra ad oggi. Ho lavorato spesso in luoghi in cui le crisi erano causate da disastri naturali, ma quando si parla di tragedie causate dall’uomo fa ancora più male, perché queste sono sempre evitabili. In ogni caso, ritengo che fare il mio lavoro sia un privilegio perché ti dà la possibilità di viaggiare, di conoscere a fondo la cultura di un popolo, la lingua, gli usi e, soprattutto, ti dà la possibilità di fare la differenza nella vita delle persone e questo è impagabile. Ormai sono 15 giorni che siamo qui al confine con l’Ucraina e continueremo a starci per portare avanti la nostra missione, per aiutare le persone in fuga dalla guerra, senza fare un passo indietro.
Andrea ha fatto una scelta importante e si sta impegnando in prima persona per portare un concreto aiuto a chi ha molto più bisogno di noi. Lo sta facendo sul campo, guardando la disperazione negli occhi e cercando di dare un po’ di calore e un po’ di sollievo ai profughi in fuga dalla guerra. Lui è là in prima linea e per questo merita tutta la nostra ammirazione. Ma possiamo fare di più: possiamo aiutare Andrea ad aiutare. È semplice, basta poco, quello che ognuno di noi può permettersi. Quindi vi rinnoviamo l’invito: cliccate al seguente link https://www.gofundme.com/f/andrea-e-cesvi-accanto-a-chi-fugge-dalla-guerra e donate, in molti ve ne saranno grati.