La contesa tra piccoli Comuni del Casentino e Poste Italiane sulla chiusura degli uffici postali, da sempre supportati da Anci, trova finalmente epilogo con la sentenza 2140/2017, con cui la sesta sezione del Consiglio di Stato dà ragione alle comunità locali e fissa una volta per tutte il principio secondo cui l’esigenza di assicurare l’equilibrio economico del servizio non può essere criterio sufficiente a motivare le chiusure o le riduzioni degli orari di apertura. Il giudizio verte sulla sentenza con cui il Tar Emilia Romagna si è pronunciato su una serie di ricorsi presentati da diversi Comuni romagnoli contro gli atti con cui Poste aveva comunicato la chiusura di uffici postali. Due i motivi di ricorso: con la chiusura non sarebbe stato più garantito il servizio pubblico universale e quindi non sarebbe stata più servita la popolazione che poteva fruire di un servizio postale a distanza non superiore a certi parametri prevista dalle norme. In sintesi, né l’economicità del servizio né la distanza minima sono requisiti sufficienti: occorre sempre e comunque un’istruttoria completa e approfondita, che deve essere comprensiva anche della fase di «effettiva» interlocuzione con gli enti locali e dia conto, oltre che degli esiti di questa interlocuzione, anche delle specificità della situazione locale. Evenienze che la sesta sezione non rinviene nei casi esaminati, dove Poste Italiane ha fatto generici riferimenti a disposizioni normative e al disequilibrio economico nella erogazione del servizio universale. Occorreva invece motivare ciascuna decisione valutandone caso per caso «l’impatto sulle collettività interessate, avendo riguardo alle situazioni altimetriche, alla composizione della popolazione e ai disagi per la stessa, alla percorribilità delle strade, alle difficoltà di spostamento anche in relazione alla situazione del trasporto pubblico locale e al fatto che le reti postali assicurano la coesione socio-economico-territoriale».