L’Italia ai tempi del colera

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L’eccezione è più interessante del caso normale: quest’ultimo non prova nulla, l’eccezione prova tutto”.

Così s’esprimeva Carl Schmitt, un secolo fa. Il cruccio del giurista-nazista era la dissolvenza dello stato liberale e, con questo, dello “stato di diritto” (rechtsstaat). In massima sintesi, Schmitt s’interrogava sulla legittimità della sospensione temporanea dello “stato di diritto” nel caso fossero minacciate l’”ordine e la sicurezza”; volgendosi, ovviamente, a favore di una “dittatura temporanea” (sic!) per contrastare la minaccia: la gente avrebbe capito!

Il cuore caldo della comprensione popolar-popolare si risolve in un sentimento cruciale: il timore. Schmitt non lo dice mai esplicitamente, ma è il timore la chiave dell’ossimoro secondo il quale lo “stato di diritto” viene meno temporaneamente per non venir meno definitivamente. In effetti, se si presta l’orecchio al vecchio discorso liberale, il nazifascismo è stata l’extrema ratio avversa al fantasma comunista: quello che minacciava l’ordine e la sicurezza delle élites, suggerendo una diversa (migliore?) ridistribuzione della ricchezza. Non per nulla, Benedetto Croce chiosava così l’esperienza fascista nell’immediato dopoguerra: una malattia del liberalismo. Come aveva ragione!

Tutto bene, per carità, se non fosse per una domanda imbarazzante: chi decide lo stato d’eccezione? In altri termini: chi stabilisce quando lo “stato di diritto” è in predicato? Ecco, Carl Schmitt non ha dubbi: sono i pochi, coloro che sono stati eletti, che hanno l’autorità ed il potere di decidere lo stato d’eccezione. Questo potere è comunemente inteso come sovranità e chi ne disponga, ai tempi del colera, è fin troppo palese: non è il popolo. Niente di nuovo, non fraintendete, quando si evoca l’ordine ci si riferisce sempre ad un qualche discriminante che mette in riga la gente, spartendola fra quella che “può” e chi “non può”. Sì, ma quale? Qual è il discriminante, ai tempi del colera?

Non sembra di grido che i “maschi” possono e le “femmine” non possano; anche quando ci si riferisce alle due categorie in termini rovesciati: i “maschi” delinquono e le “femmine” sono vittima di femminicidio. In questo senso, il Covid-19 ha avuto l’effetto incoraggiante della livella: con una leggera preferenza per il sesso debole … i “maschi”.

Tempi duri anche per chi si preoccupa dell’umanità. Non mi risulta che Greta Thunberg si sia ancora espressa ed anche il Papa s’affida alla Madonna, mentre si piega alle circostanze. Né l’una né l’altro hanno suggerito una raccolta fondi dedicata: all’ospite argentino, della curia romana, non è neppure venuto in mente di restituire la valanga di fondi che riceve dall’Italia, ovvero mettersi a pagare qualche tassa. Sembra che i paladini dell’umanità, ai tempi del colera, non possano nulla.

Re Mida, povero vecchio, se l’è data a gambe: sicuro di aver lasciato l’Italia in buone mani. Re Mida, se non l’avete capito, è Silvio Berlusconi: quello che un pretaccio (Baget Bozzo) considerava l’uomo della provvidenza. Invictus dall’opposizione, Re Mida langue in Costa Azzurra. Anche da questo neppure un centesimo per l’emergenza: è chiaro che non può.

Il principio di competenza, vale a dire quello che distingue chi “sa” da chi “non sa”, legittimando alla parola i primi in luogo dei secondi, ha fatto una sola vittima. Per emanciparsi da Vittorio Feltri c’è voluto il colera ma il dato è irrilevante: troppi insistono imperituri. Magari, occorre riconoscerlo, col colera è tornato di moda il politically correct che ha contagiato anche Salvini. Tranquilli, passerà.

L’economicismo, il brutto vezzo secondo il quale pochi si possono approfittare di tutto, sembra tramontato: capirete presto che non è così. Intanto, però, l’economia intesa come “sapere” sembra uscita di scena: sembra. Magari non è vero, sicuramente è riduttivo, ma che “la storia di ogni società è stata” (…)la lotta fra oppressi ed oppressori”, subodora ancora di verità. Quanto che una qualsiasi élite, che si pretende sempre aristocratica, si rivela più spesso oligarchica: oggi, ieri e domani chissà.

La critica (i paletti entro i quali si può trattare di qualcosa) se stava male prima, adesso è evaporata. L’aria da T.I.N.A. (there is no alternatives), che fece grande la Thatcher, spira forte ai tempi del colera. Oscure figure, evocate dall’emergenza, si affacciano dalla quarantena in camice bianco. Consulenti della categoria umana più invisa del momento: gli “eletti” della politica. Gli stessi ai quali Schmitt affidava l’esercizio della sovranità, senza “se” e senza “ma”; gli stessi che hanno decretato lo stato d’eccezione.

Se non vi siete stancati di leggere, è venuto il momento di chiudere il cerchio.

Immaginate, vista la quarantena, che il prezzo del latte, dello zucchero, della farina si elevino ad arbitrio. Immaginate che i servizi del medico o del farmacista superino il tollerabile: c’è lo “stato di diritto”! Lo citerò in Latino, per dar ragione di quanto, questa massima di diritto, sia congenita alla civiltà: Iure naturae aequum est neminem cum alterius detrimento et iniura fieri locupletiore (“è equo, per diritto naturale, che nessuno si arricchisca a detrimento ed offesa dell’altro”). Ora mi chiedo: possibile che non sia venuto in mente a nessuno di sospendere, prima di tutto, le negoziazioni in borsa?

Non dico di chiuderla, sarebbe troppo bello; dico di sospenderla per non consentire ad un qualunque ribassista di arricchirsi a “detrimento ed offesa” del prossimo. Siamo in mano ad eletti così poco illuminati da non capire le basi della convivenza civile? Forse. Più realisticamente, credo io, è la sovranità dell’apparato politico che non supera il tetto di chi già “non può”. Per chi teme che quest’emergenza si traduca in un nuovo regime suggerisco la massima tranquillità: siamo ad affari correnti! Questo caso eccezionale, questo colera a dimensioni di barboncino, prova solo cosa insiste nella sovranità e chi, veramente, ne disponga. Riguardo a te, quanto me del resto, tu “non puoi”: ..

m’è piaciuto fartelo sapere.

 

 

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