Da almeno venticinque anni si parla di problemi strutturali legati alla nostra montagna. Oggi, alle porte del 2020, ci rendiamo conto che questo parlare non è più sufficiente. Partire da buone parole è necessario, ma appunto non basta. Lo percepiamo nettamente da tanti segnali negativi, ma quando a dircelo sono i numeri le cose cambiano.
Oggi a portarci questi numeri è Filippo Giabbani, Dirigente della Regione Toscana nel settore dell’attrazione degli investimenti. Ma questo non è tutto. Giabbani è nato e si è formato in Casentino. Per dire che il suo messaggio ha alle spalle un interesse particolare e un coinvolgimento emotivo indirizzato. La sua relazione dal titolo “Quale sviluppo per il Casentino?” è stata presentata, su loro stessa richiesta, ad un gruppo di imprenditori casentinesi particolarmente interessati alle sorti della nostra terra. Il messaggio che questa relazione porta è uno solo ed è definitivo: ora o mai più. L’espressione è di Giabbani stesso che, con questo, ha voluto riportare l’attenzione generale su percorsi che la nostra valle potrebbe intraprendere per trattenere una cosa fondamentale: il capitale umano. La sua analisi, dunque, non è quella del politico, ma del tecnico abituato a trattare i numeri e le stime con estrema cautela e grande attenzione. Dietro c’è un cuore che batte per la sua valle.
“I numeri costituiscono una sorta di mappa che aiuta a riflettere ma soprattutto deve spingere ad agire. Voglio partire da alcuni dati molto significativi. Dal 1951 al 2011 il Casentino ha perso il 30% dei suoi residenti. Per quanto riguarda l’indice di vecchiaia: 224.4 Casentino contro 196.6 Toscana. L’indice si definisce come il rapporto di coesistenza tra la popolazione anziana (65 anni e oltre) e la popolazione più giovane (0-14 anni); valori superiori a 100 indicano una maggiore presenza di soggetti anziani rispetto ai giovanissimi. Questo significa che se rimaniamo immobili e questi tassi si abbassano ancora toccheranno quello che gli studiosi di demografia definiscono come una sorta di punto di non ritorno”, commenta Filippo Giabbani.
Giabbani riprende la Strategie delle Aree Interne e la difende con obiettività nella sostanza delle sue linee guida: “Ritengo che questa strategia sia stata uno sforzo importante che va valorizzato. Riporta al suo interno delle indicazioni di buonsenso che ci aiutano a definire degli obiettivi. L’unica cosa che forse manca è la valorizzazione del comparto manifatturiero che ha resistito alla crisi che va mantenuto in buona salute e difeso nel tempo. Gli imprenditori da parte loro dovrebbero attivarsi come tutor per mettere a beneficio di tutta la comunità il loro patrimonio più prezioso, quella della conoscenza, ovvero ciò che ha portato le loro aziende al successo. La loro esperienza andrà condivisa e messa a frutto per creare nuove piccole realtà imprenditoriali, portando i giovani ad investire su sé stessi e sulla propria terra. Le esperienze devono essere condivise maggiormente”.
In sostanza Giabbani ci porta a riflettere sulla necessità di creare una società che deve iniziare a colloquiare in maniera vera ed autentica per ritrovare le sue forze interne soprattutto in termini di patrimonio conoscitivo e di know-how .
Filippo Giabbani, nella sua relazione, entra anche nel merito della governance territoriale: “Parto da un altro dato il Casentino utilizza per le proprie progettualità solo il 13,2% di finanziamenti comunitari a fronte di una media regionale di 24,2%. Questo ci dice subito una cosa: gli attori locali sono troppo piccoli per incidere; il Casentino è troppo frammentato, diviso. E divisa, una terra come la nostra, non ha forze sufficienti, non riesce a lavorare in modo adeguato per intercettare fondi comunitari che oggi sono essenziali per realizzare progetti significativi per il territorio. In sostanza serve un soggetto unico che possa lavorare solo per intercettare questi fondi. Allo stesso modo, per dare continuità a quanto avviato con i progetti finanziati dalla Strategia nazionale per le Aree Interne, occorrono una visione ed una pianificazione strategica di vallata che si pongano obiettivi di medio-lungo termine. Le competenze si costruiscono anche nella casistica più ampia e si creano attivando team altamente formati. I piccoli comuni non possono riuscire a fare questo, ma ciò si trasforma in un gap incolmabile nei confronti di altre realtà che hanno scelto in modo prospettico forme di collaborazione più ampie”.
Giabbani su questo è molto chiaro: “Alla lunga, e soprattutto in questo periodo storico, la frammentazione istituzionale non è sostenibile economicamente. Il quadro attuale ci penalizza, sia in termini di costi che di occasioni perdute. Andare verso una semplificazione sarà una scelta obbligata legata alla economicità ma soprattutto all’efficienza della macchina istituzionale. Il mondo è diventato piccolo, si compete su vasta scala. Per essere pronti ai cambiamenti epocali che ci attendono non possiamo che pensare ad un Casentino diverso anche da questo punto di vista. Il fattore tempo è importante. Aspettare, temporeggiare sta diventando abbastanza pericoloso. Il tempo non c’è più perché il mondo cambia a velocità elevata, anni di riflessione non sono più possibili. Quindi ora o mai più”.
“Ora o mai più” vale anche per le nuove opportunità offerte dal turismo. Giabbani commenta: “La ciclopista dell’Arno è un’occasione unica. Ma anche su questo va detto che il territorio si deve organizzare nella sua interezza. Senza servizi secondari i turisti non arriveranno e se arriveranno non torneranno. Come giustamente indicato dalla stessa Strategia delle Aree Interne, dovremmo puntare su un turismo particolare, legato alla natura, alla sua tutela ed all’outdoor. E puntare di più sugli stranieri. Ci sono spazi per crescere visto che il turismo casentinese pesa oggi solo un 11% sul pil complessivo generato dalla vallata. Evocare, tuttavia, il turismo come panacea di tutti i mali del Casentino credo sia un errore. Non potrà mai sostituire il manifatturiero, questo è certo. Il manifatturiero è più che mai necessario alla nostra economia”.
Giabbani conclude con una riflessione: “Oltre ad un certo livello di spopolamento e invecchiamento della popolazione, si raggiunge una sorta di “punto di non ritorno”. Popolazione scarsa significa riduzione dei livelli base dei servizi e scarso dinamismo economico, fenomeni che favoriscono a loro volta un ulteriore spopolamento. Adesso quindi occorre difendere strenuamente le aziende del territorio, il capitale umano, i servizi di base, per poi provare a “rilanciare”. Per fare questo non possiamo agire in ordine sparso. Le rilevanti presenze industriali operanti in settori competitivi aperti possono contribuire ai progetti di sviluppo delle Aree interne attraverso alcune delle proprie risorse soprattutto umane a carattere innovativo, nel caso in cui esse decidano di guardare al territorio che le ospita, prendendosi in carico una parte delle responsabilità delle azioni necessarie per il cambiamento di questo territorio”.