Quarantenando: l’isolamento vissuto da un’adolescente

Sicuramente questi sono giorni duri, duri sotto svariati profili, soprattutto quando alla sera devi fare i conti con numeri che dir dolorosi è davvero dir poco. Devi fare i conti con la paura, e non soltanto quella sana che ti fa vivere con criterio questo indescrivibile momento, ma proprio la paura nel caso dovessi risultare infettato da questo maledetto virus, il Covid 19. La nostra vallata fortunatamente si è un po’ salvaguardata da questo mostro del tutto inaspettato, o forse le nostre foreste hanno spifferato più forte la loro aria allontanandola più in là. Fatto sta che con qualche caso di contaminazione e neanche troppo grave, per adesso ce la stiamo cavando.

Comunque siamo qui in questo mondo e qui dobbiamo ballare, virus o non virus. In fondo la Lombardia non è così lontana, tantomeno l’Emilia Romagna o le Marche. Appariva lontana la Cina e invece è arrivata ad esser vicina anche quella. Per forza di cose ho potuto e dovuto osservare, e vivere e respirare la quarantena vissuta da un’adolescente, una ragazza di quasi sedici anni, e ahimé, per certi versi mi ha dato non pochi insegnamenti, per altri invece è tutt’ora davvero dura.

I primi giorni, incoscientemente c’era da gioire per via delle scuole chiuse. Poi c’era il dolce da fare con la mamma, e si poteva sporcar la cucina quasi senza ritegno, tanto poi non mancava il tempo per ripulire. Poi film su film da guardare sul divano col pigiama incollato addosso, come una seconda pelle. Al mattino la musica a palla da far vibrare i vetri della casa accanto. Poi piano piano la discesa. Le videochiamate con gli amici che ti lasciano luccicare gli occhi dalla voglia di riabbracciarli, anche quelli di scuola, professori compresi. Il ragazzo che non sai più di quale odore sia fatto, mentre la nostalgia ti divora, con le unghie che cominciano a essere sempre più rosicchiate e le pellicine intorno colore del sangue. L’umore, che se provi a chiamarla per sedersi a tavola, un pochino più forte, poi rischi di non avere la parola rivolta per ore. Qualche partita a burraco, ma è chiaro che lo fa soltanto per te, perché le fai un pochino di pena, te così grande e cosciente, te che sai contare così bene quei numeri alla sera, quelli del telegiornale. Te che sai guardare quelle file di bare e provi un dolore acuto e costante.

Ma soprattutto ti fa rabbia e tenerezza la porta di camera sua, quasi sempre chiusa, a voler tener fuori quel mondo malato, nemico, perché dietro a quella porta c’è una giovane vita che non può portare fuori la sua, non può respirarla a pieni polmoni, non può condividerla, mentre provi una tenerezza infinita, perché sai bene che questi nostri ragazzi saranno marchiati per sempre da un pezzetto di storia mostruosa, quella del Covid 19.

 

Marina Martinelli
Marina Martinelli
Marina Martinelli nasce nel 1964 e “arranca” tutta la vita alla ricerca della serenità, quel qualcosa che le è stata preclusa molto spesso. La scrittura è per lei una sorta di “stanza” dove si rinchiude volentieri immergendosi in mondi sconosciuti e talvolta leggiadri. Lavora come parrucchiera a Poppi e gestisce il suo salone con una socia. E' madre di due figli che sono per lei il nettare della vita e scrive, scrive ormai da molti anni anche per un Magazine tutto casentinese che si chiama “Casentino Più”. È riuscita a diventare giornalista pubblicista grazie proprio al giornale per cui scrive e questo ha rappresentato per lei un grande traguardo. Al suo attivo ha ben sette libri che sono: “Le brevi novelle della Marina", “L’uomo alla finestra”, “Occhi cattivi”, “Respira la felicità”, “Un filo di perle”, “La sacralità del velo”, “Le mie guerriere, quel bastardo di tumore al seno”. Attualmente sta portando avanti ben due romanzi ed è felice! È sposata con Claudio, uomo dall’eterna pazienza.

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