Non ho scritto altro dal 16 marzo: altri argomenti sembravano futili rispetto agli aggiornamenti quotidiani sul virus e infatti anche altre rubriche via via hanno lasciato spazio pressoché esclusivo all’argomento che si imponeva all’attenzione di tutti. Mi chiedevo allora, giorno di San Torello, come avremmo celebrato la sua festa oggi, quindici giorni dopo Pasqua… siamo ancora tutti in casa e, come chi è fuori per servizio o per dovere, combattiamo tutti, ognuno a suo modo, la guerra contro questo invisibile nemico mortale, chiudendoci tra le mura di casa, fortezza sotto assedio, o scendendo in campo aperto con mascherine e guanti come armi e armature. Preparandoci responsabilmente e cautamente ad una timida e graduale ripartenza, pazientando senza fretta in questi ultimi giorni, voglio ricominciare, come segno di normalità, anche con la mia rubrica, riprendendo da dove avevo lasciato. Da san Torello appunto, ripetendo anche in versi quanto detto: quello che segue è un rudimentale poemetto in rima baciata che pubblicai sul giornale qualche anno fa.
C’era una volta a Poppi un ragazzo,
Giovane, ricco, forse un po’ pazzo.
Il suo buffo nome, Torello,
Ricorda un toro, un bovino, un vitello,
Ma siamo agli inizi del Milleddue,
E il nome non ha niente a che fare con un bue:
Derivava infatti dal nome Tore,
A sua volta derivato da Salvatore.
Con un gruppo di amici più pazzi di lui,
Girava per Poppi nei vicoli più bui,
Nel buio del peccato divertendosi ogni notte,
Bevendo, andando a donne e facendo a botte…
Finché un gallo una mattina,
Col suo canto di voce argentina,
Non lo svegliò dal suo peccato
E, dopo averlo verso la luce incamminato,
Gli indicò nella mente un luogo isolato
Che lui sentì d’aver sempre sognato.
Decise allora di andare via
Lontano da quella cattiva compagnia;
Così uscì fuori dalle mura
In cerca di una vita più santa e più pura,
In cerca di un posto dove fare l’eremita
Per scontare i peccati della precedente vita.
Questo posto lo trovò in quel di Avellaneto,
Dove visse sessant’anni e rinacque come un feto:
Per i santi ed i beati la vera nascita è la morte
Che in Cielo porta a compimento la loro sorte.
Furon lunghi sessant’anni di digiuni e privazioni
Senza che la sua volontà indulgesse a tentazioni,
Anni di giorni solitari e di solitarie sere
Con la sola compagnia delle bestie e delle fiere;
Ma tra queste volle scegliere un compagno per la vita
Che insieme con lui facesse l’eremita
E, come l’altro santo ch’era in quegli anni in Casentino,
Scelse tra gli animali il più feroce, il Lupo Manino!
Lo conobbe un pomeriggio sulle rive di un ruscello
Mentre cercava di prendere e mangiarsi un bambinello:
La mamma era al fiume, china, che lavava
E Torello vide il lupo che, quatto quatto, si avvicinava
Alla piccola candida culla incustodita
Che custodiva all’interno una giovanissima vita.
Disse allora al lupo ansante e sbavante
Che, se avesse rinunciato a mangiare quell’infante,
Non avrebbe più sofferto un sol giorno la fame,
Senza cacciare prede, uomini o bestiame,
Perché lui gli avrebbe dato sempre da mangiare
Quel che le donne di Poppi continuavano a mandare,
Che Torello di solito quasi sempre rifiutava,
Ma che a volte, per non essere scortese, accettava,
Per poi darlo in realtà di nascosto a qualche animale
Che così pranzava come a un banchetto regale.
Il lupo accettò e si stabilì in quel posto
Mangiando tutti i giorni ravioli, polli arrosto…
Mentre Torello digiunava o mangiava quel che trovava
Nei boschi, nei prati, nelle selve che abitava.
L’episodio del lupo è entrato nella storia
E alla figura di Torello rende giusta gloria:
È il suo primo miracolo o fatto prodigioso
Per il quale san Torello è rimasto famoso
Come santo protettore di fanciulli e donne incinta,
Dopo averla, su quel lupo, avuta vinta.
Altrettanto famoso è il prodigioso suonare
Delle campane d’ogni chiesa al suo spirare:
Nel momento esatto della sua dipartita,
Mentre Torello salutava la vita,
Ogni chiesa e cappella della vallata
Salutò quell’anima santa e immacolata…
Ogni campanile da solo suonò a morto,
Sopra ogni campo, ogni vigna, ogni orto,
Sopra ogni selva, seccatoio, mulino,
Sopra ogni torre, castello, fortino,
Sopra ogni casa, fuori e dentro le mura,
Sopra ogni pascolo, prato o radura,
Sopra ogni strada, ogni ponte, ogni guado
Della terra di Poppi e suo contado.
Poi la sua storia di miracoli è piena
Nei secoli dopo, ma nella vita terrena
L’ultimo prodigio riguarda il suo corpo
Che il clero di Poppi si litigava dopo morto.
Il pievano di San Marco lo voleva per sé
Ma doveva spuntarla su almeno altri tre:
Il prete di San Martino e quello di San Lorenzo
E quello della cappella del castello, almeno penso.
Dobbiamo poi a mente tenere
L’abate vallombrosano di San Fedele
Che aveva con Torello un legame speciale,
Visto che questi, stando all’altare,
Celebrava la messa verso Villaneto
Seguito attentamente dal santo anacoreto
Attraverso una finestra piccola ma affrescata
Che ancora si vede nella facciata.
Per dirimere la matassa e risolvere la questione
Fu stabilità una prova per prendere una decisione:
Le sante spoglie sarebbero spettate
Al sacerdote che le avesse sollevate.
Quasi tutti i preti erano giovani virgulti
E l’abate di San Fedele era il più vecchio di tutti,
Ma fu lui a sollevare le spoglie sante,
Mentre per gli altri il magro corpo fu troppo pesante!
Con un miracolo quindi scelse dove stare
E ancora in Badia lo si vede riposare:
Sotto l’altare, tra i molti tesori la cosa più cara,
Nella cripta di San Fedele c’è di vetro una bara
Dove dorme lo scheletro di san Torello
Un po’ spaventoso, ma comunque bello…
È il cuore pulsante del paese e di questa chiesa
Che come scrigno prezioso si erge a sua difesa,
Ma è Lui in realtà che difende ogni poppese
Dalle insidie della vita e del fato le offese,
Proteggendo i suoi devoti dal feroce Lupo
Che impersona in questa storia il Male più cupo.
Ma voglio concludere parlando della festa,
Di ogni tradizione antica che resta,
Dalla processione del busto prezioso,
Con la banda e gli stendardi pel percorso sinuoso,
Fino alle giostre che fan sentire vicini
Al Santo le famiglie e tutti i bambini!
Si festeggia dopo Pasqua la seconda domenica
Perché il suo sedici marzo è sempre quaresima:
È in quel giorno che morì e quindi nacque a vita vera,
È il suo dies natalis, la sua alba e primavera.
Ed è festa per Poppi, ma per meglio festeggiare
La fine del digiuno è meglio aspettare…
E la festa del patrono per il paese è lustro e vanto
In onore del beato Torello, che per Poppi è già santo.