Da diversi mesi a questa parte si sente parlare spesso e volentieri degli eSports, che hanno attirato in breve tempo l’attenzione dei media e anche qualche critica. In molti si chiedono se sia possibile inquadrare come prestazione sportiva una partita a un videogioco. Tant’è, ormai il gaming si è affacciato al mondo del professionismo e non si propone più soltanto di intrattenere. Gli eSports sono già una realtà consolidata. E pensare che il tutto è partito da qualche torneo amatoriale, di quelli che si svolgono frequentemente nei piccoli centri abitati e che servono più che altro a riunire tra loro giocatori con la stessa passione. Oggi è possibile fare dei videogame il proprio mestiere e girare il mondo a caccia di avversari e successi per conto di squadre e società ben definite, esattamente come per i classici atleti.
Gli eSports possono riguardare giochi di vario genere e non solo quelli gli sportivi. Sono numerose le competizioni internali a tema che si svolgono ogni anno con l’intento di sfornare nuovi campioni e alimentare il business, al punto che tra i gamers più navigati figurano anche dei ragazzi italiani. Galeotta fu la Cyberathlete Professional League che negli anni ’90 aveva già provato a instradare i giocatori verso un ambiente professionistico, ma in Italia la novità degli eSports non è stata colta subito e l’opinione pubblica la trattava almeno inizialmente con scetticismo, considerando un torneo di videogiochi come “un’americanata” o una moda passeggere.
Il boom della rete ha scoperchiato invece un grande pentolone e attraverso internet molti giovani si sono praticamente inventati dei nuovi lavori. Si pensi ad esempio agli youtuber, alcuni dei quali diventano tra l’altro proprio dei gamer professionisti dopo aver trascorso qualche anno a proporre in live i propri gameplay, ottenendo magari un grande consenso. Oggi il concetto del videogame è radicalmente cambiato: in pochi giocano in solitaria o si dotano di più gamepad per giocare con gli amici. Le sfide avvengono prevalentemente a distanza grazie ad apposite modalità online, attraverso le quali gli aspiranti professionisti si allenano anche diverse ore al giorno.
I risultati dei gamers italiani ai tornei mondiali hanno fatto drizzare le antenne a chi era poco convinto sul fenomeno degli eSports. Persino il Comitato Olimpico Nazionale Italiano ha cominciato a interessarsene, mentre i club calcistici di Serie A hanno iniziato a ingaggiare i migliori gamer per essere rappresentati nelle varie competizioni e provare a sfondare anche in questo settore. Davvero curioso se si pensa che fino a qualche anno fa l’utilizzo di giochi elettronici al di fuori del consumo domestico di videogame veniva quasi demonizzato. Se si valutano le app più scaricate o le 10 slot più giocate online ci si rende invece conto di quanto quasi tutte le attività quotidiane passino per lo smartphone. Giocare ai videogiochi non è più un momento di evasione, un divertimento alternativo, ma una divagazione della legge tecnologica odierna.
Ad oggi è ancora in dubbio la presenza degli eSports alle Olimpiadi di Parigi. I videogiochi più violenti stonerebbero con la filosofia dei Giochi, ma nel contempo fare delle selezioni sui generi avrebbe quasi il sapore di una censura. Fino ad allora, però, il movimento collettivo crescerà ulteriormente e sicuramente investirà ancora di più anche l’Italia. Diventare gamer professionisti non è affatto semplice: il rischio maggiore è quello di trascurare gli studi per poi ritrovarsi con un pugno di mosche dopo qualche anno, ma la sensazione generale è che da qui a breve gli eSports seguiteranno a contare nuovi proseliti. Anche in Italia.