“Guardati allo specchio”, sussurra Joakim alla moglie Maria nel film di Bergman. “Sei forse più bella d’allora ma sei tanto cambiata. Vorrei che vedessi quanto sei cambiata. I tuoi occhi hanno sguardi rapidi e sfuggenti: un tempo guardavi tutto e tutti apertamente, senza crearti una maschera”.
Il 10 aprile scorso, il Presidente del Consiglio in carica dava conto al popolo, e non ancora al Parlamento, dei fatti del giorno che, al tempo, era già ieri. La notte fra il 9 ed il 10 aprile s’era svolta, in video conferenza, la riunione dell’Eurogruppo: a rappresentare il governo italiano, non già l’Italia, il ministro Gualtieri. Un sussurro, pubblicato la mattina del 10 aprile da Milano Finanza, recitava così: “Secondo quanto risulta a Milano Finanza sarà senza condizioni per tutte le spese sanitarie legate alla pandemia e quindi gli impegni saranno pressoché nulli per questa prima fase. Ma finita l’emergenza l’accordo tra i ministri finanziari europei prevede un ritorno all’antico, un termine per ora ambiguo che non spiega quando e come ai paesi che faranno richiesta del Mes, verranno richieste le condizioni da crisi o quelle standard, per intenderci quelle chieste dall’Olanda e applicate alla Grecia in passato”. Sull’onda di “ciò che risulta”, Giorgia Meloni, sempre il 9 aprile, scriveva sul suo profilo Facebook: “il ministro Gualtieri ha firmato per attivare il Mes”. Al post era associata un’immagine in cui si legge: “il governo” (…) “ha detto sì al Mes”.
Fino alla (fin troppo) chiara presa di posizione del governo, il pettegolezzo sul risultato dell’eurogruppo ha avuto la meglio: poi, naturalmente, no. Ritengo Giuseppe Conte un uomo onesto, un buon cristiano, rispettoso delle regole democratiche e molto distante da quel Chavez che parlava al Venezuela, vestito da Marta Flavi, a cui Enrico Mentana pretende di ricondurlo. Ritengo, mentre m’appresto a subire la smentita, che Giuseppe Conte, ad onta dell’età, non abbia acquistato la maschera dell’ipocrisia.
Alle 19 e 52 del 10 aprile scorso, dopo aver tirato il più ed il meno per 14 minuti, Giuseppe Conte sbarra la telecamera con lo sguardo ed alza il tono: “questo governo non lavora col favore delle tenebre. Questo governo guarda in faccia gli italiani e parla con chiarezza” (…) “l’eurogruppo non ha firmato nulla né istituito alcun obbligo: è una menzogna questa”. Il nome dei bugiardi lo lascio alle cronache. Qui si cita Giorgia Meloni e Milano Finanza ma solo perché di questi ho notizia diretta, di fatti accertabili; Giuseppe Conte dice anche Salvini e quindi mettiamoci pure questi: l’equilibrio del discorso, non per questo, suonerà sbilanciato.
Giorgia Meloni si presenta da sola ma Milano Finanza merita due parole. Milano Finanza è edito da Class Editori che si occupa, oltre a come speculare sui propri averi (Milano Finanza), di come s’incula il fisco, la giustizia e la Pubblica Amministrazione (Italia Oggi) e di cosa significhi vivere “con stile” (Lombard, “sic!”, Capital, “sic!”, Case & Country, Gentleman, “sic!”, Class, “sic!”, Luna, Campus, ed altre amenità da life style). Va da sé che l’editore non sia nelle mie corde ma, al lordo delle testate che pubblica, non credo che evada la quisquiglia del vivere borghese: per chi lo è, per chi lo pretende e per chi lo sogna. Niente di male, per carità, se non fosse per lo stravolgimento valoriale di “chi è buono perché ricco”, come suggeriva Aristotele (“bisogna esser ricchi per esser buoni”), rispetto a “chi è ricco perché buono”, come invita a fare il mercato. Se non avete colto la sottigliezza, ciò che segue non vi piacerà.
Nel mercato, foss’anche della pubblica credulità che s’esprime nelle urne, l’onestà non è un valore: è un mezzo. In termini spiccioli si chiama “solvenza” e palma d’affidabilità colui che, preso un impegno, è in condizione d’assolverlo. Il fine, manco a dirlo, è avere credito: in termini meramente spiccioli. In questi termini non ha alcuna rilevanza l’aderenza della parola alla verità, piuttosto l’esigibilità del credito. Ciò a dire che la parola, spesa bene o spesa male, rimanda sempre ad un qualche creditore che, in questo gioco astuto di parole, corrisponde a qualcuno che ha credito. Bene: Giuseppe Conte, rebus sic stantibus, ha un enorme credito. Per questo è stato vittima della speculazione.
Quello che i molti considerano fake news, pettegolezzo, o banale “ciò che risulta” ai ben informati, è solo una chiamata “put” alla borsa valori. Un’opzione “put”, per chi non la conosce, è il gesto col quale si vuole che il prezzo dell’asset (in questo caso il governo) scenda, per poterlo rivendere a molto più di quanto si è fatto credere. Raccolto in una massima, ad altezza barboncino, corrisponde all’abitudine del mercante di disprezzare ciò che vuole acquistare. Pratica meschina, non c’è che dire, se il valore da tutelare fosse la patria, Dio o la famiglia: ma per questi giocatori è chiaro quanto non sia così. L’interesse dell’opposizione politica non è il governo ma il rimpiazzo. Nella fattispecie concreta, rimpiazzare Giuseppe Conte: ma certo non ora.
Il tranello, a cui l’onestà non poteva sfuggire, è presto detto: inchiodare il Presidente del Consiglio a non accettare, in nessun modo, il MES (acronimo di Meccanismo Europeo di Stabilità). Non che a Meloni o Salvini importi, che sia ben chiaro; tantomeno importa a Milano Finanza, Italia Oggi e Case & Country: soprattutto a quest’ultima testata che, già nel nome, è riuscita ad incularsi l’Italiano con l’Inglese nel sommo disprezzo d’entrambi gli idiomi. Cosa importa è ridurre tutto a scommessa e, poi, provare a vincerla. Nel caso specifico, scommettere che non esiste la solidarietà europea e che Conte, come Tremonti e Draghi prima di lui, s’infrangerà nel fermo rifiuto tedesco degli eurobond: in qualunque altro modo s’intendano chiamare.
Di recente, in direzione eurobond, s’è mosso quel pericoloso comunista di Draghi, seguito da quel bolscevico del Papa; Salvini, credo io, deve aver fatto una telefonata ad Orbàn: trovandolo occupato. Di fatto, se non a parole, né Berlusconi, né Salvini né Meloni hanno tentato qualcosa: Milano Finanza, semplicemente, non può. Eppure il pettegolezzo ha sortito il suo effetto. Giuseppe Conte, nella conferenza stampa (stampa, non regime) del 10 Aprile s’è inchiodato: “lavoreremo, fino alla fine, con coraggio, con determinazione”, (…) alla “prospettiva degli eurobond”. Bene: se non saranno eurobond, che si fa?
La prospettiva di Milano Finanza, ça va sans dire, è quella di cambiare governo; Matteo Salvini e Giorgia Meloni, invece, intendono provvedere al sommo bene dell’Italia: messo da parte Giuseppe Conte.
Non so voi ma io sono profondamente scettico sulla prospettiva eurobond. Spero di sbagliarmi, naturalmente, ma ho acquisito la buona abitudine di non scommettermi mai contro. Comunque sia, staremo a vedere. Di certo la verità si paga, tanto quanto ogni buona azione non resta impunita: il caso vuole che tocchi sempre ai buoni e retti. Adversus, naturalmente, il canto biblico.
La Bibbia ricorda Re Salomone e la sua proverbiale capacità di giudizio che, tradotta in matematica da Von Neumann, si risolve nel famoso dilemma di Re Salomone. Lasciatemi dire e voi seguitatemi.
Vennero due donne innanzi al Re. “Oh mio signore, questa donna ed io abitiamo nella stessa casa; io partorii quando essa era in casa. Tre giorni dopo che io avevo partorito, partorì anche questa donna; e non c’era alcun altro in casa all’infuori di noi due. Il figlio di questa donna morì durante la notte, perché ella gli si era coricata sopra. Ella allora si alzò nel cuore della notte, prese mio figlio dal mio fianco e se lo pose in seno, e sul mio seno pose il suo figlio morto”. Allora l’altra donna disse: “non è vero; mio figlio è quello vivo, e il tuo è quello morto”. Nessuna ritrattò, rimettendosi al giudizio di Salomone.
“Portatemi una spada!”, comandò il Re, e così fu fatto. “Dividete il bambino in due parti e datene metà all’una e metà all’altra”. Allora la donna del bambino vivo, che amava teneramente suo figlio, chiese al Re: “Mio Signore, date a lei il bambino vivo, ma non uccidetelo!”. L’altra, invece, sposò la decisione salomonica: “non sia né mio né suo: dividetelo!”. Solo così, Re Salomone, prese la sua decisione: “date il bambino alla donna che lo vuole vivo, perché lei è la madre”. Così in poesia.
Lo stesso dilemma, tradotto in numeri, suggerisce, invece, che in un gioco a somma zero (in cui uno vince e l’altro perde) chi ama di più l’oggetto conteso, finisce per perderlo: perché lo preferisce vivo che suo! A certe madri occorre suggerirlo, mentre Re Salomone già lo sa: perché la verità non è divisibile per due! Peccato che, entro un gioco di strategia, il dilemma di Re Salomone si risolve con le due massime di cui ho già detto: “la verità si paga” e “nessuna buona azione resterà impunita”.
Tutto questo, naturalmente, al netto della poesia: che invita ad aver fede nella capacità di giudizio di Salomone. Io, dopotutto, in questo credo: malgrado la mia vita, quanto la vostra, sia seminata da mancate corrispondenze. Credo, e voglio credere, che non tutto si possa risolvere entro una mano al tavolo da poker. E credo anche che Giuseppe Conte sia una persona perbene: anche se probabilmente insolvente. Se ha mostrato un po’ d’orgoglio gesuitico, perché l’amor di verità a questo conduce, non è da farne onta ma motivo di stima ed oggetto di perdono: la hybris è decisamente il peccato che preferisco.
Forse perché mi piacciono le persone che guardano tutto e tutti senza crearsi una maschera: che gridano, in luogo di sussurrare. Forse perché vorrei vedere Salomone, una volta ancora, insistere fra noi.