Un pensiero ogni tanto: “La Befana vien di notte”

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La Befana vien di notte

Più che altro, della mia Befana ricordo il carro… Sì il carro, da dove dentro un uomo consegnava le calze ai bambini. Allora, la piazzetta del paese, davanti alla chiesa e alla bottega della Primetta straboccava di gente e le grida di gioia dei bambini, si potevano udire fino a Ortignano. Rammento ancor oggi la mia tensione, perché lo stipendio del babbo non prevedeva tante cose in più dell’utile e il necessario, per cui, avevo sempre paura che per me non ci fosse niente. Ma il nonno Primo si svenava per far sì che i suoi tre nipoti più grandi, quelli che c’erano al tempo di questi ricordi, gioissero della calza della Befana, dalla quale poteva uscire di tutto; dai chicchi più classici, alla frutta, alla verdura di ogni genere, ma anche del carbone, che stava a rappresentare che tanto buono, non eri poi così stato.

A me interessava il giusto che nella mia calza ci fosse anche del carbone, l’importante era che la Befana si fosse ricordata di me. Nel mio immaginario, non era propriamente una vecchina buona e affettuosa, ma una tipetta brontolona e mal vestita, a dirla tutta; non mi restava neanche troppo simpatica, anzi, però pretendevo che si ricordasse di me, chissà, forse la temevo e così mi sentivo al sicuro. Mi chiedevo il motivo del perché questa nonnina portasse i chicchi a tutti i bambini, io credevo che non fosse troppo normale, che non ci fosse poi così tanto con la testa, ma soprattutto quando mi rivolgevo a lei personalmente, e a voce alta, le chiedevo di non portare i dolcetti ai bambini ricchi, a quelli ci avrebbero pensato gli stessi genitori, ma di portarli ai bambini come me, che vivevano con poco o niente. E qui vi volevo, ci tenevo proprio ad arrivare alla realtà di quel “poco o niente”, che oggi che sono grande e che potrei io stessa rappresentare una Befana, ho capito che invece a quei tempi avevamo tutto, sì, perché anche se i vestiti facevano il giro di tutti i fratelli della famiglia dal più grande al più piccolo, anche se le case erano molto meno calde di adesso, se l’automobile del padri erano tassativamente usate e le donne facevano la spesa facendo segnare su di un quaderno ciò che spendevano, ebbene, la ricchezza stava proprio in questo, stava in quel niente che niente non era, in quel niente che rappresenta il “troppo” di oggi. E allora, almeno tu Befanina, tu che possiedi il coraggio degli svitati di testa, fai un passo indietro ti prego, e riponi di nuovo le calze nei carretti dei trattori, e falli tornare nelle piazze piene di bambini “bercianti”, perché quei bambini berciavano di felicità, anche grazie al poco che avevano!

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Marina Martinelli
Marina Martinelli nasce nel 1964 e “arranca” tutta la vita alla ricerca della serenità, quel qualcosa che le è stata preclusa molto spesso. La scrittura è per lei una sorta di “stanza” dove si rinchiude volentieri immergendosi in mondi sconosciuti e talvolta leggiadri. Lavora come parrucchiera a Poppi e gestisce il suo salone con una socia. E' madre di due figli che sono per lei il nettare della vita e scrive, scrive ormai da molti anni anche per un Magazine tutto casentinese che si chiama “Casentino Più”. È riuscita a diventare giornalista pubblicista grazie proprio al giornale per cui scrive e questo ha rappresentato per lei un grande traguardo. Al suo attivo ha ben sette libri che sono: “Le brevi novelle della Marina", “L’uomo alla finestra”, “Occhi cattivi”, “Respira la felicità”, “Un filo di perle”, “La sacralità del velo”, “Le mie guerriere, quel bastardo di tumore al seno”. Attualmente sta portando avanti ben due romanzi ed è felice! È sposata con Claudio, uomo dall’eterna pazienza.

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