Ho conosciuto la signora Enza Fiorini grazie al lavoro che svolgo. La simpatia reciproca non si è fatta aspettare molto e il Corona virus ha fatto il resto, questa volta in positivo.
Enza è una donna nata a Serravalle, nel comune di Bibbiena, e a un certo punto della sua vita, si è trasferita a Milano, dove ha messo in piedi la sua famiglia e il suo lavoro, prima di mamma e poi anche di donna adoperata in un’azienda. A Milano Enza vive ormai da tantissimi anni, ma a Serravalle possiede ancora la casetta dei suoi genitori, e in estate, come fanno tante persone, viene col marito a passare qualche settimana nel fresco paesello di montagna. Chiaramente provenendo da Milano, è stato facile parlare dei giorni difficili passati nel periodo del Lockdown, soprattutto per lei che appunto, li ha dovuti vivere nel bel mezzo della regione più colpita, con tutte le restrizioni e le paure del caso.
Noi che abbiamo avuto paura anche dal nostro Casentino con i suoi pochi casi, mentre stavamo a guardare e a respirare la desolazione e il dolore di quel periodo che ci ha segnato per sempre, possiamo soltanto immaginare. Nonostante tutta la bruttura del caso però anche ad Enza è capitato qualcosa di bello, una cosa successa proprio nel bel mezzo di quel nero periodo:
– Di fronte a casa mia – racconta Enza, – c’è da sempre una fabbrica, per l’esattezza una “conceria”, che ha davanti a sé un bel giardino popolato da uccellini che svolazzano e fanno il nido negli alberi all’interno di esso. E’ molto piacevole starli ad ascoltare, perché dentro ad una città, non tutti possono permettersi di udire il cinguettio degli uccelli. Ma ciò che è successo una notte in pieno Lockdown, mi rese felice in quel momento, anche se inizialmente pensai che stavo sognando o addirittura che stavo cominciando a perdere un po’ la realtà di tutta quella sgradevole situazione. Soffro d’insonnia e quella notte precisa mi recai sul terrazzo a guardare quel fantasma che era diventata Milano. Guardavo quelle vie deserte, dove non si vedeva passare neanche un gatto, e la luce dei lampioni appariva ancor più importante perché c’era soltanto quella ad illuminare le strade. Niente fanali, niente di niente, soltanto la luce biancastra dei lampioni, sentinelle impietrite da quel momento a dir poco pauroso. Poggiai le mani sulla ringhiera mentre facevo il pieno di quel vuoto allarmante, e in lontananza, qualche ambulanza gridava il suo dolore. A un certo punto mi parve di sentire il verso del “Cuculo”, da noi in Casentino semplicemente chiamato “Cucco”, sì, proprio l’uccello che tiene con sé tanti proverbi e modi di dire, ma che ha il vanto di annunciare la primavera. Mi dissi che non era possibile, che magari si poteva trattare di pura immaginazione, figuriamoci: il “Cucco” a Milano, e per di più in piena notte. Ed invece, proprio del “Cucco” si stava trattando. I miei ricordi volarono fino alle montagne casentinesi, quelle stesse che guardavo da bambina e dalle quali l’uccello in questione mi si presentava, rimbalzando i suoi ripetuti: cucu, cucu, cucu… il cuore mi batteva forte nel petto mentre l’orecchio ormai allenato, mi continuava a ripetere quello che ormai era certo che stessi ascoltando. Era proprio lui, e si era fatto sentire di notte perché confuso da tutto quel bagliore biancastro che sapeva di alba, nel silenzio pulito, eppure sporcato di una Milano ferita e immensamente bella, diversa ma affascinante. Tutto, in quella notte mi riportava al mio Casentino, quella valle che mi avrebbe dato molta più sicurezza, che mi avrebbe abbracciata e non lasciata andar via. I ricordi riuscirono a tirarmi un po’ su, ora avevo voglia di raccontare a qualcuno quello di cui ero stata testimone e un senso di felicità e tristezza allo stesso tempo prese il sopravvento lasciandomi a piangere lacrime strane, fatte di un sapore diverso, un sapore gioioso. Se penso che il canto del “Cucco” mi ha accompagnato per anni, tanto da essermelo impiantato nell’anima, quando ci sono bambini che non lo conoscono se non dai libri di scuola, avverto una grande tristezza, ma la vita è così, fatta di milioni di situazioni che ti portano a riflettere. Anche quest’anno per ben due mesi ho goduto di nuovo della mia vallata, quella che mi ha vista nascere e crescere per un bel po’, ho potuto ascoltare ancora il canto del “Cucco”, ma questa volta in una dimensione dove ci stava davvero bene e dove l’alba che albeggiava, era quella vera! –
Questa storia mi è rimasta dentro, così come lo sguardo messo in risalto dalla mascherina di Enza che svolge la sua vita a Milano, ma che col cuore vola spesso in grembo alle nostre montagne.
Grazie Enza