Finalmente accolto il progetto della Fondazione Alice
Ogni volta mi sforzo affinché non sia così emozionante ascoltare lo sfogo di Simone Ciulli e ogni volta invece l’emozione arriva, e la senti scendere piano, finché nel tragitto delle parole s’ingrossa, come un torrente che scende dalla montagna. Ciulli si lascia andare come se non aspettasse altro, una sorta di alleggerimento per un uomo che vive una condizione di eremita, per prestare il suo tempo al progetto rivolto a sua figlia Alice, per il quale è riuscito ad ottenere soltanto poche ore di assistenza purtroppo, per cui tutte quelle che rimangono scoperte spettano, inevitabilmente a lui, questo padre che svolge una vera e propria missione.
Dall’ultimo articolo che avevamo fatto sulla Fondazione Alice, articolo che ci aveva emozionato non poco perché raccontava i lunghi giorni del lockdown che Simone aveva vissuto da solo con Alice e Lorenzo e una volontaria che era rimasta bloccata presso la Fondazione, qualcosa si è mosso. Per questo non vogliamo perderci in chissà quali ringraziamenti, perché ciò che si ottiene in questi frangenti non è mai troppo, e inoltre serve dire che per avere le briciole bisogna lottare non poco contro un sistema che lascia perplessi, ma questa volta non vogliamo sporcare ciò che di bello è successo, perché questo deve essere un momento di sola bellezza, un momento che ci invita alla speranza e all’amore.
-Il progetto è semplice – racconta Ciulli – dal punto di vista medico-riabilitativo è davvero semplice, per questo non mi rendo conto del perché tutti si siano opposti fino a quando non sono stati costretti a decidere se chiudere una ragazza di ventidue anni in un istituto, dove sicuramente sarebbe stata contenuta in un letto e sedata, e questo perché ciò che possiamo fare qui in Fondazione, non potrebbe essere fatto in istituto, per il semplice fatto che il progetto non è adattabile alla massa, ma mirato a una persona precisa.
Consiste in una supervisione da parte di persone specializzate, stiamo parlando del direttore sanitario di uno dei centri più specializzati in materia della Toscana e forse di tutta Italia, e della psicologa che è primario del reparto di psicologia, dello stesso istituto.
Loro hanno scritto una cosa semplice: – dobbiamo trasmettere ed insegnare ad Alice che i linguaggi che ha utilizzato fino ad oggi non sono funzionali e che per questo motivo vanno cambiati. – – Faccio un esempio: Se le chiedo di passarmi dei piatti, lei non può rispondermi di no, accumulandoli magari sulla sua scrivania, perché questo comportamento non è funzionale alla sua esistenza, in quanto, se riusciamo ad esistere insieme senza più alzare le mani, troveremo il modo di vivere in pace, in armonia con chi è presente, senza più chiederci che cosa ci manca ma bensì, che cosa abbiamo.
Alice deve imparare questo, senza assolutamente obbligarla o convincerla perché nessuno può convincere nessuno, possiamo però farle vedere che esiste un altro modo di stare al mondo.
Per provare ad ottenere ciò, un’educatrice si reca presso la Fondazione per tre volte a settimana e si prende cura del progetto per circa tre ore a volta, cercando di provare ad entrare in contatto con lei e fare in modo che questo contatto non sia violento e quindi disfunzionale, bensì positivo, e quindi funzionale. Quando avremo ottenuto ciò, proveremo ad incuriosirla con cose che potrebbero piacerle e darle quelle al posto dei piatti. Sarà difficile, ma il progetto in sé è molto semplice.
Ci vorrà tanto amore, costanza, tempo, risorse, ma che sono il venticinque per cento di quelle che si spenderebbero a metterla in un istituto. Ecco perché non capisco, sicuramente è una questione di responsabilità, perché affidandola a un istituto le responsabilità ricadrebbero sull’istituto stesso, mentre invece affidandola al padre, ognuno se ne dovrebbe prendere un pezzetto. Però per la prima volta da quando io e sua madre ci siamo separati, vent’anni fa, stiamo lavorando insieme e questo non è poco.
L’educatrice di Alice viene in Fondazione per otto ore settimanali diluite in tre step, l’assistente copre trentaquattro ore settimanali e le altre centocinquanta ce le impiego io, e lo faccio molto volentieri. – – Continua.
-Aiutateci affinché questo progetto possa estendersi proprio come abbiamo già fatto con Lorenzo che è passato da un’aggressione ogni trentasei ore a un anno e mezzo senza alcuna aggressione e senza farmaci. Questo qualcosa vorrà pur dire… vuol dire che c’è un altro modo per fare le cose, non importa quanto sia il sacrificio che serve per ottenerlo, noi lo faremo così, costi quello che costi, perché quando si parla delle persone non si possono fare conteggi! –
Per Simone era importante far trasparire la bellezza di ciò che sta succedendo presso la Fondazione Alice, perché il progetto è un qualcosa di veramente grande, se poi, dovesse riuscire nel suo intento, lo diventerebbe oltremodo, d’altra parte come è stato possibile per Lorenzo, quantomeno dobbiamo provarci anche con Alice. La speranza è che possa verificarsi ancora un successo!
Che dire, noi rimaniamo in attesa, di tanto in tanto vi faremo trapelare notizie e tutti resteremo uniti a sperare che queste debbano essere ogni volta più buone, in primis per Alice e per tutte quelle persone che girano intorno al progetto, soprattutto per Ciulli che non ha mai demorso un minuto, anche quando i bastoni che gli sono stati messi fra le ruote, sono stati molteplici e infinitamente grossi, mentre lui con la sua pace, quella dell’amore, è riuscito a spostarli tutti!
Tornerò a darvi notizie sulla storia di Alice, perché ormai è la storia di tutti. Grazie