Voci dal Casentino: “Storia di una madre”

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Storia di una madre

Tempo di ascolto dell’articolo 16’01”

Quando la società procura ancor più dolore della malattia, e l’indifferenza rasenta la vergogna!

M’incontro con Bianca e parliamo, mentre gli occhi dell’una s’infilano dentro a quelli dell’altra, talvolta bagnandosi un po’. Del resto non è facile non entrare in simbiosi con una donna che, come me è madre e che ha valori saldi e forgiati come il metallo più duro.

Le due “ore ascoltatrici” sono state intense e calme, come oramai è calmo il dolore che questa donna ha dovuto sopportare e ingoiare nel tempo.

Non le ho fatto domande dirette perché bastava un cenno con la testa affinché lei prendesse il via agli sfoghi che talvolta mi hanno fatto traballare, cosa di cui ho cercato di risparmiarla perché del mio emozionarmi Bianca non ha alcun bisogno credetemi, o chissà, magari invece sì!

-Cara Marina, ora sto rivivendo tutti gli errori che ho fatto “abbassando la testa”, cosa che non avrei mai dovuto permettermi di fare, e infatti a proposito di questo ho incontrato di recente una signora che ha un nipotino autistico di appena quattro anni alla quale ho consigliato di non farlo mai di chinare il capo, di non stare mai zitta di fronte al dolore, alle ingiustizie, alle persone che se ne fregano e che, almeno nel mio caso sono state tante, troppe.

Oggi non mi comporterei così, oggi non subirei quello che ho subito nel tempo anzi, credo che oggi mia figlia la difenderei molto di più e lo farei con grande cognizione di causa.

Noemi è nata nel 1977 e a soli otto mesi abbiamo capito che in lei c’era qualcosa che non andava. Giocava soltanto con le sue manine e chiunque entrasse nella sua camerina non le faceva differenza, per lei che entrassi io o un’altra persona qualsiasi era lo stesso. Non sorrideva mai e nessuna voce o nessun volto la faceva reagire in maniera diversa da quella di sempre.

Per un lungo tempo i medici dell’ospedale di Arezzo l’hanno visitata, ma nessuno ci ha mai detto che Noemi era affetta da autismo, anche perché non se ne sentiva ancora parlare più di tanto, ma poi finalmente e purtroppo, uno psichiatra ce lo confermò.

Da quel momento iniziò il suo e inevitabilmente il nostro calvario, ma Noemi ormai aveva circa sei anni e la malattia era arrivata ad uno stadio avanzatissimo.

All’asilo si era trovata bene tutto sommato, ma è stato alle elementari che le maestre non si sono comportate come avrebbero dovuto nei confronti di quella bambina che era affetta da una patologia così tanto importante. Non che noi genitori avremmo preteso chissà quale trattamento speciale, ma neanche per nulla compresi come lo siamo stati in effetti. Ovviamente i suoi piccoli compagni si trovavano di fronte ad una cosa del tutto nuova e i loro genitori, anziché spiegargli che avrebbero dovuto comprendere ed accogliere, preferivano lasciar emarginare la nostra creatura.

Rammento con tanto dolore ed inevitabilmente tanta rabbia quando il primo giorno di scuola la maestra mi chiese il motivo per cui le avessi comprato la cartella, tanto, mi disse;

– la bambina non si rende nemmeno conto di cosa sia una cartella. –

Piegai la testa mentre gli occhi mi bruciavano come crateri ardenti, ma alla fine Noemi ebbe anche lei la sua cartella, potevi scommetterci!

I genitori dei suoi compagni dicevano che i bambini rimanevano indietro a causa di mia figlia e infatti, quando finalmente le assegnarono una maestra d’appoggio, la misero a “fare lezione” in una stanzina nel corridoio, e sicuramente io non avrei dovuto consentire di isolarla perché non fu certo una cosa positiva per lei.

Devo dire che col frequentare l’ospedale di Siena cominciammo una sorta di processione che è durata ben quattro anni, anni dentro ai quali Noemi aveva imparato a parlare e anche a riconoscerci e quindi a volerci un po’ bene, e rammento che una volta fui “ricoverata” per ben quindici giorni in quell’ospedale con lei, che dormivo in una sedia di formica e che condividevo il pasto con un’altra mamma, anch’essa più o meno nei miei stessi panni.

Facevano a mia figlia una terapia che avrebbe dovuto migliorarne la condizione, ma questa condizione non è mai migliorata, a parte quelle piccole cose iniziali. Andavamo a Siena in continuazione io e mio marito, anche quando è nato mio figlio, il fratellino di Noemi che oltretutto adora e che questa sua adorazione è pienamente ricambiata. A volte mi viene da pensare che se fosse stato lui il più grande dei due, mi avrebbe aiutata a difendere questa situazione così dolorosa, così enormemente assurda. Lo ammiro tanto il mio ragazzo, ed è stato la mia forza vera.

Quindi; biberon a portata di mano, pannoloni e cambi svolti in macchina e quella speranza nella pancia e nel cuore che avevamo io e mio marito di ritornare con la nostra bambina quanto meno un po’ migliorata, ma le nostre speranze rimanevano illuse e deluse ogni volta che facevamo ritorno.

Ricordo che quando Noemi finì la quinta elementare, un giorno tornò a casa con la fissa di un libro. Rammentava il libro, il libro, e di lì a poco dopo scoprii che a lei non era stato dato un certo libro che avevano ricevuto tutti i bambini, e alla mia domanda del perché a lei non fosse stato dato, mi venne risposto che tanto lei non era in grado di leggerlo. Quella volta rammento che pensai di quanto la società fosse peggio dell’autismo stesso!

Ho passato la mia vita di madre di Noemi come se fossi un disturbo, ad esempio le ho sempre fatto la festa di compleanno invitando tutti i bambini che sono venuti ogni volta, ma lei, la mia cara e indifesa bambina, non è mai stata invitata a nessun compleanno. Anche il catechismo le venne precluso perché nessuno se la prendeva in carico, e quando chiesi al sacerdote di allora del perché stesse succedendo tutto questo, mi venne risposto che tanto non avrebbe potuto passare la Comunione, in quanto Noemi non sapeva nemmeno l’Ave Maria.

Fu proprio in quell’occasione che risposi al prete; che se il Suo Dio me l’aveva data così, avrebbe anche potuto scusare il fatto che non sapesse recitare una preghiera! Per una volta la mia voce divenne grossa finalmente, e da allora frequento poco o niente la chiesa, anche se continuo a credere. Comunque non certo senza fatica, ma mia figlia passò la sua Comunione come tutti gli altri bambini.

Devo dire che anche le scuole medie non ci sono state chissà quanto amiche, ma un professore d’appoggio fece cambiare un tantino le cose, ed in meglio direi, infatti non lo ringrazierò mai abbastanza per questo, e lo ricordo con stima e tanto affetto.

Susseguentemente, quando Noemi era diventata più grande non fu facile trovarle un posto nei centri diurni, ma poi alla fine ci riuscimmo e devo dire che lei stessa, ma anche tutta la nostra famiglia si è trovata molto bene con questa realtà assolutamente nuova per noi. Si trattava del centro diurno Tangram, di cui le operatrici che ne sono il fulcro, ci hanno dato tanto ascolto e supporto, e vorrei ringraziarle per quanto hanno dovuto sopportare anche “i bassi e gli alti” del mio umore. Ma poi andando avanti negli anni, giunsero altri problemi che influivano nel comportamento di mia figlia, che sommati all’autismo la facevano essere poco gestibile, e quindi anche dai centri dovemmo per forza allontanarla.

La decisione che dovevamo contemplare a quel tempo era quella di metterla definitivamente in un istituto, ma anche per ottenere questo mi trovai a dovermi scontrare con l’assistente sociale con cui mi rapportai allora, rammento le parole precise che usai in quell’occasione e che avevo ben poca scelta, e l’unica alternativa che mi era rimasta sarebbe stata quella di farla finita. Le dissi che una sera misi a mia figlia le mani intorno al collo dall’esasperazione e che magari quella sera stessa le avrei strette definitivamente. Sarebbe stato un gesto per cui avrei fatto certamente quarant’anni di galera, ma la vita che avevo svolto fino ad allora insieme alla mia creatura, non era certo stata migliore della galera stessa, per cui forse me lo sarei anche potuto permettere.

Ormai non tolleravo più che mia figlia ci picchiasse e che spaccasse tutto nei momenti di crisi, ma quando siamo arrivati nel luogo in cui si trova ancora adesso, abbiamo avuto paura e non ce la siamo sentita di lasciarla lì. Ma poi poco alla volta abbiamo iniziato con l’inserimento che non andava poi così male, era esattamente il 2013, e successivamente, nel 2019 Noemi vi è entrata in pianta stabile.

Anche per questa nostra scelta mi sono sentita dire tante cose malvagie ed ho “ingoiato” anche quelle, ma è certo che non ne dimenticherò mai nemmeno una, assolutamente. Addirittura mi sono sentita dire di essere una “signora” perché ricavo dei soldi per l’accompagnamento e per cui non devo lavorare. Quanta pochezza appartiene alla gente…

Oggi la vedo contenta mia figlia, dove è si trova bene ed è ben curata, di conseguenza anche io sono più serena e con me mio marito e mio figlio, anche se il pensiero di Noemi è l’ultimo della sera e il primo della mattina, ed ogni volta che andiamo a prenderla per farla stare un giorno a casa con noi, riportarla in struttura ci fa un poco morire dentro. Ma ormai ero ridotta a dormire pochissimo, ad avere paura di tutto e credo che fossi arrivata davvero al limite, mentre lei, con le regole che le venivano date in struttura era molto cambiata, così tanto da chiedere il permesso a prendere un banale cioccolatino quando si trovava a casa, cosa che noi, per evitare scenate dolorosissime le regole non le avevamo mai prese nemmeno in considerazione, lasciandole quindi fare di tutto.

Sento di avere sbagliato tanto e vorrei tornare indietro ma mi è impossibile, mio figlio mi dice costantemente che non gli è mancato niente ma io penso che anche solo il vedermi sempre disperata, gli sia pesato tanto. Ad esempio quando guardavo la televisione o parlavo con lui, Noemi mi voltava la faccia perché dovevo stare soltanto con lei, e credo fortemente che mio figlio abbia scelto di fare agraria anche per questo, per allontanarsi per più giorni a settimana da tutto questo nostro “mondo malato”.

Ad un certo punto anche il Signor Covid a Noemi ha fatto lo sgambetto e quando ne risultò positiva, la ricoverarono in rianimazione dove io rifiutai di farla intubare, se ce ne fosse stato bisogno, d’altra parte sarebbe stata l’ennesima tortura, e invece lei nel reparto Covid che venne istituito nel centro in cui si trova, cominciò a riprendersi piano piano stando un po’ meglio ogni giorno di più. Comunque oggi questa realtà che ospita mia figlia e che è “La Consolata” di Serravalle nel comune di Bibbiena, ci solleva non poco, perché la sappiamo al sicuro e soprattutto la vediamo contenta di farne parte, per cui mi sento di ringraziarne tutto il personale, e lo faccio col cuore.

In quel periodo siamo stati quattro mesi senza vedere nostra figlia, facendo soltanto delle video chiamate, e ammetto che è stata davvero molto dura.

Oggi ho compiuto 70 anni e mi sono presa un giorno per me facendo una festicciola con pochi cari, ma a questa età davvero importante, ho capito fondamentalmente una cosa; che la vita è bella quando è perfetta e che la disabilità di perfetto non ha niente semplicemente perché la gente non prova a comprendere, o almeno allora era così!

Sento sostanzialmente di non aver mai difeso la mia creatura o di non averlo fatto abbastanza, oggi sarei più pronta, sia a rispondere che a mettere al suo posto tante persone che non hanno avuto nessuna umanità nei confronti di Noemi e di tutta la nostra famiglia, ma non auguro loro del male, semplicemente mi hanno fatto capire che viviamo in un mondo dove ci sono i prescelti e dove le creature “imperfette” è meglio tenerle da sole, allontanandole dalla perfezione assoluta, anche se a volte mi chiedo se questa esista davvero!

Avrei da raccontare milioni di “robe” brutte incontrate in questo percorso infinito, gente che non si è fatta scrupolo ad esser cattiva, ad essere ingiusta a partire da coloro che la causa di Noemi avrebbero dovuta quanto meno “abbracciarla” un pochino, ma va bene così, tanto indietro non si torna.

Vorrei soltanto che tutte quelle persone che vivono sbattendo gli occhietti e a far finta di essere buone e comprensive, si potessero ravvedere e parlare un po’ con sé stesse, sia mai che qualcosa di buono potrebbero anche trovarlo… guardando molto, ma molto a fondo però! –

Ecco, Bianca ha finito il suo sfogo, il suo urlo soffocato dalla stanchezza e dal tempo, quello stesso urlo interiore che sicuramente emettono anche il babbo e il fratello di Noemi, quando ripensano a cosa hanno dovuto “ingoiare” nel tempo.

Io da parte mia vorrei che questo documento facesse riflettere tutte quelle persone che non riescono a calarsi dentro il dolore degli altri e a tutte queste persone, perché ci sono e non sono poche, consiglio di leggere queste righe più di una volta, provando a rendere tutto questo dolore un po’ proprio, forse così facendo potrebbero capire quanto la vita di certi altri talvolta sia “stronza” da sola, anche senza altra gente che ci infili dentro la sua cattiveria gratuita, e che si facessero iniezioni importanti di comprensione, ma quasi sempre questi soggetti hanno quel qualcosa di nero e così fortemente abbarbicato nei loro  cuori, che son sicura che proprio non ce la possano fare!

Grazie Bianca, donna che si è nutrita di pane e di rabbia, ma che questa non ti ha rabbuiato abbastanza fortunatamente!

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Marina Martinelli
Marina Martinelli nasce nel 1964 e “arranca” tutta la vita alla ricerca della serenità, quel qualcosa che le è stata preclusa molto spesso. La scrittura è per lei una sorta di “stanza” dove si rinchiude volentieri immergendosi in mondi sconosciuti e talvolta leggiadri. Lavora come parrucchiera a Poppi e gestisce il suo salone con una socia. E' madre di due figli che sono per lei il nettare della vita e scrive, scrive ormai da molti anni anche per un Magazine tutto casentinese che si chiama “Casentino Più”. È riuscita a diventare giornalista pubblicista grazie proprio al giornale per cui scrive e questo ha rappresentato per lei un grande traguardo. Al suo attivo ha ben sette libri che sono: “Le brevi novelle della Marina", “L’uomo alla finestra”, “Occhi cattivi”, “Respira la felicità”, “Un filo di perle”, “La sacralità del velo”, “Le mie guerriere, quel bastardo di tumore al seno”. Attualmente sta portando avanti ben due romanzi ed è felice! È sposata con Claudio, uomo dall’eterna pazienza.

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